mercoledì 9 febbraio 2011

dodici anni

dodici anni

Canticchiando una canzone di parecchi anni fa, mi rimbomba nelle orecchie un:
«settembre è il mese dei ripensamenti sugli anni e sull’età.
Dopo l’estate porti il dono usato delle perplessità.
Ti siedi, pensi e ricominci il gioco della tua identità
Come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità.»
Difficile per un sognatore come me sottrarsi a questo pezzo di poesia travestito da canzone.
Va bene, non è settembre… mica si può prendere tutto alla lettera. Siamo a gennaio, che è comunque un mese che arriva subito dopo le feste di Natale. E poi, uno avrà o no il diritto di avere delle perplessità che lo riguardano quando cavolo vuole lui. O no?
Lo stesso autore, scrisse altri pezzi che hanno colpito spesso la mia fantasia o la mia sensibilità. U pezzo come:
«se sono di umore nero allora scrivo, frugando nelle nostre miserie,
di solito ho da fare cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo…»
Sembrerebbe avere pensato a me, quando scrisse questa strofa. Io, infatti, quando sono di umore nero o semplicemente vedo nero: «mi chiudo in casa e scrivo, e scrivendo mi consolo…» tanto per citare un’altra perla di saggezza dell’attempato cantautore fatta ad hoc per il sottoscritto. E così, eccomi che scrivo. A volte, ho l’impressione di essere ancora un ragazzino di dodici anni, intrappolato in questo corpo di adulto. Sento che mi appartengono ancora i ricordi e le emozioni di quell’epoca felice, e mi sembra di vedermi com’ero allora, con i calzoncini corti, le ginocchia perennemente rovinate da una caduta o scivolata, spettinato e con un pallone da calcio sottobraccio. Mi rivedo sorridente, completamente ignaro del futuro che arriverà e delle preoccupazione che immancabilmente accompagneranno il diventare grande. Che bella quella età quando bastava un pallone un prato e qualche amichetto per provare a toccare il cielo con un dito.
Poi, con un crescendo quasi Wagneriano, arriveranno in sequenza: la scuola con i suoi “studia se non vorrai finire a fare il muratore… (perché i miei ce l’avessero così tanto con i muratori… boh).
Poi, un anno buttato a giocare alla guerra. Un anno che solo Dio sa perché riesce comunque ad illuminare gli occhi di un uomo che c’è stato. Dopo toccherà al lavoro, con tutte le sue contraddizioni, con l’egoismo sdrucciolo o l’invidia dei colleghi e qualche volta verso i colleghi, l’amore con gli alti e bassi che caratterizzano un rapporto di coppia. E ancora i figli con i loro problemi fisici, psicologici da risolvere, i tuoi cari che diventano prima vecchi e che poi ti lasciano con l’eredità di tenere vivo almeno il loro ricordo, l’unica possibilità di continuare ad essere presenti su questa terra. Le bollette da pagare, il timore di non farcela a poter garantire alla tua famiglia l’attuale tenore di vita. E ancora qualche primo acciacco che si tende a sottovalutare fino a quando la soglia del dolore è stata oltrepassata e non si resiste più. La paura di perdere il lavoro a causa di una crisi creata dall’ingordigia dell’uomo che per arricchire se stesso non si fa scrupoli a passare sopra ai diritti di altri. E mille e mille altri problemi che caratterizzano il nostro vivere quotidiano. Dove è finito quel ragazzino con il pallone? Forse si è perso nel correre verso una direzione che non gli riusciva di capire dove lo avrebbe portato. Forse non ha resistito alla delusione per non essere diventato da grande, il calciatore super che aveva sperato di diventare, o magari l’astronauta, oppure ancora un pilota di formula uno e si è rifiutato di crescere. Come un novello Peter Pan ha trovato la sua isola che non c’è e vi ci si è trasferito. Forse invece si è solo rassegnato a correggere al ribasso le proprie aspettative: invece di un calciatore della nazionale si è accontentato di un lavoro dignitoso con il duplice scopo di imparare e di rendersi economicamente indipendente,
Si è accontentato di aver conosciuto una “non principessa azzurra” al posto della donna bionda con gli occhi azzurri con il viso da angelo, il corpo da angelo, dolce come un angelo, oppure della compagna di classe delle scuole medie. Quella seduta al primo banco della classe e che li provocava le prime pulsioni. Probabilmente si sarà accontentato di una automobile piccola e che consumi poco, invece della BMW o Porsche che allora era certo avrebbe sicuramente comperato. Non si aspetta più di vincere un premio nobel per le letteratura, ma si accontenterebbe che qualcuno legga e commenti quello che scrive.
Se avesse saputo cosa lo aspettava, sicuramente non avrebbe avuto tutta quella fretta di crescere. Non avrebbe mai pensato o detto: «Quando finalmente sarò grande…»
Si, ma l’uomo. Beh, lui ci è arrivato digerendo qualche boccone amaro a volte, ce l’ha comunque fatta ed ha sempre avuto la forza per continuare. Anche quando ha visto il mondo crollargli addosso ha saputo trovare la forza per tirare avanti. Per provarci. Ha saputo ingoiare le pillole amare quando si è accorto che le sue speranze cominciavano a chiamarsi utopie, ha sicuramente apprezzato con gioia quello che la vita, che comunque sa anche essere generosa ha saputo donargli.
Certamente, quando vede la mattina sorgere il sole, non si emoziona più come un tempo. Ha ancora un cassetto nascosto con qualche sogno da realizzare, ma cerca di evitare di aprirlo per paura che anche questi possano scivolare fuori.
«Un giorno o l’altro lo aprirò quel cassetto e proverò…» si racconta da solo a volte, sapendo di mentire anche a se stesso.
Eppure, un sogno per quanto irrealizzabile questo uomo ce l’ha. Eccome se ce l’ha. Immagina di camminare per strada, di svoltare l’angolo e di trovarsi di fronte quel ragazzino spettinato, con le ginocchia sbucciate e con un pallone da calcio sottobraccio.

Nessun commento:

Posta un commento