lunedì 27 settembre 2010

i diari di nemesnep 7

L’epilogo.

Mi sveglio alle sei del mattino. Mi alzo e corro a vedere come è il tempo. Sembra sereno finalmente. gli altri dormono come angioletti.



Ritorno a dormire tranquillo: abbiamo almeno un paio d’ore ancora di sonno. Quando mi sveglio poco p rima delle otto, sento scorrere l’acqua della doccia. Sicuramente Daniele si è alzato e si sta lavando. Maledico me stesso per non aver approfittato due ore prima del bagno libero, perché adesso ne ho bisogno e so che l’amico è davvero lungo nelle sue operazioni mattutine.
Il giorno prima, lo abbiamo cronometrato: dal momento in cui ha chiuso l’acqua della doccia a quando abbiamo sentito il rumore del phon, sono passati trenta minuti. Dall’asciugacapelli al momento in cui la porta si è dischiusa almeno altri venti minuti. Mentre lo attendevamo è scattata una statistica: domanda del sondaggio: che cosa ha fatto il Cagno nei trenta minuti intercorsi tra la chiusura del rubinetto doccia all’accensione del phon?
Prendendo un campione di un milion… tre intervistati sono state estrapolate le seguenti ipotesi:
1) Si è masturbato (ovviamente avevamo definito in maniera più colorita questa ipotesi).
2) Si è addormentato sulla tavoletta del water.
3) Ha defecato.
4) Ha fatto footing.
5) Si è dedicato alla lettura dei classici della letteratura attingendo alla collezione di Sandro.

Scartiamo subito considerandola affidabile al 0 % la terza ipotesi. Non è stato udito lo sciacquone che ne elimina di fatto la possibilità.
Essendo il bagno di dimensioni ridotte, la quarta ipotesi crolla subito ed attesta la sua attendibilità intorno allo 0.1%
La quinta ipotesi si collega direttamente alla prima, nel senso che ne è la logica conseguenza.
La prima ipotesi è la più accreditata e si attesta anche per la ragione soprascritta intorno al 97 %.
La seconda è poco probabile, perché dopo una doccia non avrebbe molto senso. 2.9%.
Quando la porta si è aperta, lui è uscito sorridente ma non ha dato una risposta al nostro sondaggio.

Oggi però, primo sono solo io ad essere sveglio, sento la vescica che sembra una zampogna e non ho alcuna intenzione di fare altri sondaggi. Esco dall’appartamento e mi dirigo verso la piscina sperando che i bagni degli spogliatoi siano aperti. Grazie a Dio lo sono e posso così espletare i miei bisogni. Quando esco mi rendo conto di quello che prima nella foga di trovare un gabinetto non avevo notato. Il cielo non è più sereno ed anzi sta cominciando a piovere. Quello che credevo impossibile si è avverato. Sacramento ad alta voce e mi avvio verso la casa. Basta, non ne posso più! Un altro giorno in casa non ci si può stare. E poi, non sopporterei un’altra discussione come quella di ieri.
Dentro sia Il Giangi sia il Bepi si sono alzati. L’altro è ancora in bagno ad asciugare i capelli uno ad uno con l’asciugamano. Mi chiedono come è il tempo e quando comunico che piove, mi chiedono che si fa?
«Si va a casa!»
Dopo un breve conciliabolo ci siamo subito trovati d’accordo. Gli unici che forse avrebbero voluto finire la settimana saremmo stati io ed Eros ma di fronte all’ennesima dimostrazione di sfiga, anche la nostra convinzione ha cominciato a vacillare. Sono uscito ed ho scacciato il gattaccio nero (in realtà erano ben due i gatti neri presenti nell’Abbazia) dalla sedia, ma non ho potuto fare altro che rientrare e cominciare a rimettere insieme i bagagli.
Alle dieci e trenta, eravamo pronti a lasciare il luogo delle nostre sventurate vacanze.
«Allora paghiamo, poi partiamo e ci fermiamo visitare Trieste.» Propone Daniele raccogliendo il consenso di tutti.
«Sì, io ci sono stato ed è davvero una bella città, che vale la pena di essere visitata. Tanto più che ci si deve passare per andare a casa.» Aggiungo io.
Alle undici circa, lasciamo il parcheggio dell’Abbazia Country Club e Nemesnep lentamente diviene storia.
La signorina del navigatore ci indica per l’ultima volta la utca da seguire e via, si và verso casa. Piove ancora, governo ladro… beh almeno, non corriamo il rischio di pentirci per la scelta di anticipare il rientro. Ripercorriamo a ritroso, ma con le stesse condizioni meteo, la strada che ci ha portato quasi una settimana prima in Ungheria, ma adesso non c’è di sicuro lo stesso spirito.
Quando siamo nei pressi di Maribor la signorina ripete lo scherzo dell’andata. Invece di farci fare un chilometro scarso di autostrada, ci fa fare una nuova escursione sulle statali. Ma almeno così, possiamo mettere una sigla di visto sulla città. Dopo Lubiana, il Giangi lamenta una necessità impellente e schiaccia il pulsante per le fermate a chiamata. Ci fermiamo in un autogrill ed abbiamo così l’occasione di poter usufruire dei bagni. Di mangiare non se ne parla, siamo ormai a mezz’ora dall’Italia e tanto vale fermarsi a Trieste per mangiare finalmente italiano.
Quando varchiamo il confine tra Solvenza ed Italia, finalmente il grande assente di questi giorni ci sorride. C’è una giornata decisamente bella e calda che ci fa immediatamente mettere nel bagagliaio della poderosa i maglioni.
Ci avviciniamo alla zona del porto, dove riusciamo trovare un parcheggio. Sono le due e mezza e la preoccupazione adesso è solo trovare u posto per mangiare. Lo troviamo quasi subito. Una tavola calda che nonostante l’ora tarda è disposta a scaldarci qualcosa. Eros non crede ai suoi occhi, dopo una settimana di cotolette, spiedini e cibarie strane può finalmente mettere i denti su un autentico piatto di lasagne. Mangiamo, paghiamo e quando siamo pronti per andare a vedere la città eros si tira indietro:
«No io vado alla macchina.»
Il Giangi ed io, otteniamo il permesso di poter fare un giro per la città mentre gli altri due vanno a recuperare la poderosa. Abbiamo circa dieci minuti da gestire. Dopo tutto il resto, possiamo mettere la V anche su Trieste.
Saliamo in macchina. L’ingresso dell’autostrada, l’ho fatta da poco è so che parte in pratica dal lungo mare. Macchè, il navigatore ci fa inerpicare subito per la collina abbandonando oltre a trieste anche il lungo mare. Il tutto per farci gustare dei paesini ridicoli come Prosecco (esattamente quello che si è bevuto in abbondanza la signorina del navigatore) e poi ridiscendere prima di entrare in autostrada perdendosi così anche il lungo mare.
Ci si avvia pigramente alla fine di questa settimana. Non siamo stati fortunati con il tempo ma non posiamo negare di aver riso come matti e tutto sommato di esserci divertiti. Eros, sembra impaziente di arrivare a destinazione e maledice ogni macchina che ci ostacola il passo. Quando ci fermiamo er l’ultima sosta all’autogrill dei Monti Lessini, Sandro qcquista quattro gratta e vinci, chissà ami che la fortuna giri dalla parte giusta. All’andata, era successa la stessa cosa e solo Eros e Daniele avevano vinto.
Oggi, però puntiamo tutti sul Cagno che dopo il torneo di ieri sembra in stato di grazia. Eros però ha fretta e gratta anche il suo biglietto senza vincere nulla. Vinco solo io: un altro biglietto ovviamente.
Lo cedo al Cagno che con Eros alle costole che fa tutto il giro dell’autogrill per prenderlo. Quando escono Rosino sta provando ancora a grattare, ma io e sandro lo blocchiamo.
«Lascialo fare a lui stavolta.»
Daniele non tradisce e vince. Si rientra a prendere il nuovo biglietto mentre il nostro impaziente amico comincia a sbuffare. Non usciamo. Il nuovo tagliando daniele lo gratta all’interno e vince un altro biglietto. Lo gratta ancora, mentre dal vetro vediamo la faccia di Eros che ci sta maledicendo di sicuro. Il conte gratta ancora e questa volta vince cinque euro. A Rosino che ci guarda dal vetro comincia ad uscire il fomo dalle orecchie, così il guidatore opta nonostante il mio consiglio di continuare, per chiedere la banconota invece del biglietto. Peccato, poteva essere la volta buona.
Scarichiamo il primo pezzo a monza alle nove e trenta. Poi Sandro e quindi me. Saluto il cagno che fa manovra e se ne va. Vedo scomparire la poderosa dalla via della mia casa... partono i titoli di coda: la vacanza è finita.

i diari di nemesnep 6

Nemesnep

Nei tempi morti, quelli in cui non è possibile uscire perché piove o perché si è stanchi, ci si trova nel piccolo appartamento, soli anche se in compagnia. Ci sono i classici modi di impegnare il tempo. Io ne ho uno un po’ anarchico, che mi porto dietro da parecchio tempo. La settimana enigmistica. Con lei riesco sempre a trovare il modo di tenere allenata la memoria e ad evitare di annoiarmi. Mia madre quando ero ancora piccolo mi ha introdotto in quel mondo di cruciverba, rebus e quiz e da allora non ho più smesso.
Sandro, divide i suoi momenti liberi tra il cellulare con il quale è sempre preso a scrivere, navigare in internet o a parlare con qualche amica, e il giusto riposo del guerriero. Riesce ad addormentarsi con estrema facilità rimanendo in un limbo di sonnolenza vigile che gli permette di partecipare qualora è coinvolto.


Eros, se non siamo in giro e se non deve mangiare concentra la sua attenzione sul televisore. Gli riesce di guardare programmi più strani con l’audio in lingue più disparate. Se poi c’è uno sport in tv, allora tutto è ancora più semplice. Daniele è il più insofferente dei quattro. Dipendesse da lui, impiegherebbe di sicuro tutto il tempo morto a fumare. Credo che lo condizioni la paura di doversi annoiare a tal punto che riesce ad annoiarsi per paura di annoiarsi. È un ragionamento contorto, lo ammetto ma credo che gli calzi a pennello. Lui odia i silenzi che si possono generare quando è in presenza di altre persone ed odia allo stesso modo i lunghi momenti in cui non ha nulla da fare. Il problema è solo l’eterno conflitto tra il non aver nulla da fare e la pigrizia di dover fare qualcosa. Da questo piccolo equilibrio scaturiscono molti atteggiamenti che lo contraddistinguono come il ritardo congenito e la scarsa propensione a prendere iniziative.
Quando si è in gruppo però è bene che i tempi morti siano ridotti all’osso. Per questo, abbiamo portato le fedelissime quaranta amiche di sempre. Le carte da gioco. Manca un elemento per giocare al due, ma possiamo sempre sbizzarrirci con un megatorneo di tressette ciapà nò. La partita inizia come sempre lenta e quasi svogliata, poi comincia a diventare più attraente quando si comincia a misurarsi sui punteggi. Ad un certo punto giocando la carta giusta al momento giusto scappa una battuta con tono milanese:
«Testina, se conti le carte, lo sai che c’è in giro solo l'asso e il tre di fiori. Ti gioco l’asso e zac il più è fatto. Lo prendi tu ed io vado in bianco anche questa mano. Regolare, no!»
Questo è un invito troppo grande per il Cagno che sente scattare nella sua testolina il nuovo click. Da quel momento, si comincia a parlare tutti come un cummenda milanese, con buona pace del Dogui, che ci ha lasciato come eredità il suo personaggio. Siccome però, la nostra classe ci fa sempre andare oltre, creiamo i personaggi di un’ipotetica partita di tressette, giocata in un bar di lusso della Milano da bere. Nascono così, dalla nostra fantasia il Bepi (Eros) farmacista con pluriennale esperienza, il Giangi (Sandro) play boy e scavezzacollo. Rampollo di una delle famiglie più ricche del capoluogo lombardo, egli, poco propenso al lavoro ha incentrato i suoi interessi alle donne al cibo ed all’ozio. Ci sono poi i cugini Brambilla, eredi del cavaliere del lavoro e nobile Conte Andreino Casiraghi. Al momento dell’eredità il nonno Andreino aveva chiamato a se i due nipoti, unici eredi purtroppo per lui, ed aveva diviso il suo patrimonio. Aveva eletto Conte il nipote più giovane e lasciato in eredità all’altro la segheria ed il titolo di cavaliere del lavoro. Così il conte (Cagno) ed il cavaliere falegname (io) erano presto entrati in conflitto scegliendo il cognome della madre per differenziarsi: nascevano così il conte Brambilla- Casiraghi ed il cavaliere del lavoro Brambilla Fumagalli.
Questo ultimo “click” si dimostra il più azzeccato. Infatti, da quel momento in poi nessuno riuscirà più a parlare con il proprio tono di voce. Cominciamo durante la partita:
«Uhei, va che il Bepi non è mica lì a curare le biciclette.»
«Dai Giangi, vediamo che cosa tiri fuori dalla melonera.»
«Va che il nonno non era mica un pirla. Mica per niente ha fatto conte a me.»
«Il nonno lo chiamavano pirla, già da quando era alto così.»
«Parli così, solo perché sei invidioso! Testina, mica poteva farne due di conti. Se no, dopo i conti non tornano.»
il nonno Andreino, lo avranno anche chiamato pirla fin da quando era piccolo, ma evidentemente ci ha aveva visto giusto. Il conte con un cappotto doppio ha schiantato tutti e si è aggiudicato il torneo.
Classifica:
Conte Brambilla Casiraghi: 126
Cavaliere Brambilla Fumagalli: 148
Giangi: 150
Bepi : 157

«Quando ho visto le cartine, e non appena mi hanno dato sotto il tre di cuori... zac sono andato giù di libidine fino al cappotto.» Ha commentato il nobile non appena ritirata la coppa del vincitore.
Il nonno di sicuro gli ha lasciato oltre il titolo nobiliare abche una dose di culo mai vista in precedenza. La partita, le discussioni che ne conseguivano e tutte la frasi dette, erano rigorosamente in quel milanese aristocratico.
Il fatto grave è che poi lo stesso tono lo si teneva anche quando non si stava giocando.
«Allora, per arrivare al Balaton, giri lì a sinistra e poi vai sempre dritto fino all’autostrada. Regolare no?»
Addirittura al telefono con mogli e figli si manteneva lo stesso tono da milanese imborghesito. Probabilmente i nostri familiari avranno cominciato a chiedersi cosa ci davano da mangiare in Ungheria e soprattutto se non avevano fatto una cazzata a lasciarci andare tutti insieme.
Ormai con questo strano slang, la nostra vacanza volgeva pigramente alla fine. All’Abbazia abbiamo provato a giocare a ping pong rispolverando un nostro vecchio amore di gioventù. Mitici i pomeriggi passati al circolone di Bernate a giocare a quello o al biliardo. Abbiamo poi provato il tennis con per una volta insieme i cugini Brambilla contro Giangi e Bepi. Quando al tie break del primo set mi è passata davanti l’ultima palla, ho creduto di vedere la Madonna che scuotendo la testa mi chiedeva di lasciare perdere, ho capito che era finita.
Prima c’era stato il volo di Rosino che nella foga di battere si era schiantato a terra rovinosamente. Perdendo il punto che noi ci siamo affrettati a contare.
Anche durante la partita Daniele non aveva perduto il suo senso dell’umorismo e più volte mi aveva detto di giocare in un modo anziché nell’altro:
«Ueh, cerca di stare più vicino alla rete, così gli fai la voleè a quelli lì. Lo diceva sempre il nonno Andreino che devi giocare così.»
La partita sul campo è stata vinta al Tie break dalla coppia Giangi – Bepi. Dopo un controllo tra i medicinali però, avendo letto su uno dei flaconi con le pastiglie che il Giangi utilizza per cercare di perdere peso la parola “Doping” il risultato è stato messo Sub Judice.
E visto che abbiamo scritto di queste pastiglie, vale la pena di spendere qualche parola anche su quest’argomento. Purtroppo abbiamo probabilmente passato il mezzo del cammin di nostra vita. Chi più e chi meno, si comincia ad accusare i primi acciacchi dovuti al fisico che non è più quello di una volta. Così la mattina c’è da prendere la pastiglia per controllare l’ipertensione. Il pomeriggio il Giangi ha le pastigliette per ridurre gli stimoli della fame, la sera anche. Conoscendo i miei polli e la memoria labile che ci contraddistingue, ho preparato una tabella con gli orari per le pillole e quotidianamente mi sono impegnato a chiedere:
«Hai preso la pastiglia?» per poi spuntare immediatamente dopo con una crocetta l’avvenuto ingoiamento. L’arrivo di Sandro, ha comportato che più della metà dell’armadio su cui era posto il televisore fosse invaso dai suoi medicinali e dai suoi prodotti: dentifricio, liquido per le lenti a contatto, pastiglie di ogni forma e colore, gel effetto bagnato, gel forte, dopo gel, dopo barba, lucida labbra, acqua di colonia, tampax perché non si sa mai, colluttorio… e di sicuro ho dimenticato qualcosa.
La convivenza però, non è fatta solo di tornei, partite a tennis o di televisione. Ci sono i momenti sia in macchina sia tra le mura domestiche, in cui s’intavolano delle discussioni sui massimi sistemi che rischiano spesso di degenerare in rissa. No, nessuno di noi sarebbe così scemo da venire alle mani con uno degli amici di una vita, ma arrivare allo scontro verbale… sì.
Abbiamo già scritto della differenza di vedute riguardo alle coppie gay. Altre discussioni sono iniziate quando Sandro ha definito nell’istinto l’unica dote che contraddistingue un fuoriclasse da un semplice campione. Fino a quando il discorso era limitato a Roger Federer noi avevamo controbattuto nel assicurare che ok per l’istinto, ma senza un’ottima preparazione fisica, e senza una raffinata tecnica di base, lo svizzero non sarebbe mai divenuto il numero uno al mondo. Soprattutto, non lo sarebbe restato per così tanto tempo. Il peggio è arrivato però, quando il Giangi ha affermato che Maradona è stato il grande campione che è stato, solo grazie al suo istinto naturale. Non lo avesse mai fatto: il Cagno ed Eros in particolare, toccati sul vivo in quella che è la loro religione, vale a dire il calcio, hanno subito fatto notare che il Pibe de Oro era ben altro che un semplice istintivo.
«La tecnica, la puoi imparare. Ti metti lì, provi, provi e provi fino a quando impari a fare le stesse cose che fa Maradona. Ma L’istinto del fuoriclasse, o ce l’hai, oppure non c’è maniera di impararlo.»
La discussione che n’è conseguita è stata tremenda. Il villaggio intero funestato da decine e decine di decibel. Abbiamo poi trovato esempi sempre più stupidi per definire chi nella storia ha avuto successo grazie all’istinto o alla bravura. Siamo stati capaci di coinvolgere nella discussione nell’ordine: Valentino Rossi, Michael Schumacher, Pablo Picasso, Ludwig Van Beethoven, Bijorn Borg, John McEnroe. Tutti geni nel loro mestiere, che secondo il Giangi hanno ottenuto il successo solo grazie all’istinto. Come se classe, tecnica, preparazione, allenamento e duro lavoro non contassero niente. Come si può notare si tratta di una discussione stupida intorno al niente. Una discussione che è andata avanti per più di due ore e che ha raggiunto dei toni impossibili da sopportare per noi, figurasi per i nostri vicini.
A bocce ferme, possiamo trovare facilmente un compromesso tra la tesi di Sandro e la nostra. Possiamo dire accontentando tutti che ognuno degli interpreti dei rispettivi lavori è stato un genio. Qualcuno ha dovuto lavorare duro per arrivare fino all’apice del successo qualcuno magari un po’ meno. Tutti hanno in comune il fatto di essere stati baciati dalla fortuna che li ha dotati di un dono naturale, che è quello di saper interpretare al meglio la loro professione. Possiamo passare per buono il fatto che istintivamente Maradona sia stato più portato a capire in anticipo cosa fare con il pallone prima che questo gli giungesse tra i piedi. Però, solo con la sua intuizione, senza la capacità di correre più degli altri tenendo la palla inchiodata al suo destro, o senza la forza fisica di resistere agli attacchi dei difensori avversari non sarebbe andato molto lontano. Sicuramente il gol all’Inghilterra nei mondiali 1986, non lo avrebbe mai fatto. Certamente Sandro considera istinto, quella cosa che noi chiamiamo dono naturale, quindi non è completamente sbagliato il suo discorso. Sbagliato ostinarsi a dire che Maradona non possedeva tecnica ma solo istinto. Il segreto del successo secondo il mio parere, dipende da tanti fattori: la dote naturale (chiamiamola pure istinto) la preparazione e l’allenamento, la mentalità, la fortuna. Schumacher ad esempio è considerato il più grande di tutti i tempi, ma ha corso spesso, troppo spesso con la macchina più forte e contro nessuno. Senna ad esempio ha corso anch’egli con un top team e con una vettura forte, ma aveva almeno contro degli avversari degni: Prost su tutti, ma anche Mansell, Piquet. L’unico che ha contrastato il tedesco invece, è stato Mika Hakkinen, poi dopo lui fino all’arrivo di Alonso, se si eccettua un timido tentativo di Raikkonen, il nulla. Ma tutto questo… non c’entra nulla.
Prima abbiamo fatto un accenno agli sfortunati vicini che hanno spesso dovuto sopportare le nostre discussioni ed intemperanze. Deve essere ricordato che durante la nostra permanenza abbiamo legato con una coppia che alloggiava nell’appartamento a fianco. Lei era americana di New York e lui invece era canadese.
Lei mi è servita per fare un po’ di training con il mio inglese. Parlava abbastanza lentamente e nonostante arrivasse dalla Grande Mela dove si parla uno slang spesso incomprensibile, il suo inglese non era difficile da capire. Lui era uno strano individuo difficile da definire. Arrivava, salutava con un gran sorriso, faceva delle domande, poi senza attendere la risposta, si allontanava velocemente. Un comportamento maleducato difficile da capire. All’inizio avevamo attribuito al fatto che facendo casino, li disturbavamo e credevamo che quello fosse il modo stupido di vendicarsi. L’arcano lo ha spiegato lei qualche giorno dopo.
«He goes away because your friend is smoking a cigarette.»
In pratica il canadese del quale non ricordo il nome, ma che invece ha imparato a memoria i nostri storpiando il mio, arrivava con tutte le buone intenzioni e poi batteva in ritirata non appena il Cagno accendeva una sigaretta. Uno strano individuo, simpatico ma veramente strano.
Chissà che cosa avranno pensato loro di noi? Stavamo svegli fino alle due a giocare a carte o a parlare ad alta voce disturbavamo i loro sonni, per poi cominciare alle sette con la colazione e le urla di primo mattino. Magari avranno pensato: “ma che sfiga! Quelli di sopra fanno casino fino a notte tarda. Quelli di sotto si svegliano presto…”
Anche la colazione merita un piccolo discorso. Abbiamo portato dall’Italia latte, caffe solubile, caffettiera, biscotti del mulino bianco. Scaldavamo il latte nel microonde per me e Daniele, un tè per Erosino e via. Poi abbiamo comperato al supermarket dei nuovi dolcetti per Eros. L’arrivo di Sandro ha comportato l’arrivo sulla tovaglia delle patatine, degli M&Mens, delle arachidi tostate, di nuovi dolcetti e tutto il resto. Un breakfast continentale.
Ultima chicca, l’ultima sera. È stato un bel giorno, ma non ce lo siamo potuti godere. Rosino la mattina è volato sull’asfalto del campo da tennis e si è fatto male al piede. È rimasto a riposo tutto il pomeriggio, e a parte il torneo di tressette, è rimasto a vedere la televisione. Il Giangi ed io, dopo un’ora abbondante di carte, decidiamo di sfruttare se non la piscina, perché non fa abbastanza caldo, almeno la zona balneare dell’Abbazia. Io ci vado per primo. Entro nella sauna e mi accomodo. È buio pesto e fa decisamente caldo. Noto che però stranamente, nonostante la temperatura elevata fatico a sudare. Normalmente, in una sauna, impiego meno di un minuto a grondare di sudore, qua invece, nonostante il gran caldo stento a diventare umido. Sandro mi raggiunge e si siede al mio fianco. Rimaniamo una ventina di minuti al caldo, poi approfittando dell’ingresso di una signora usciamo e ci facciamo una bella doccia. Quindi, entrambi nella vasca idromassaggio. Fatichiamo a comprendere perché i nostri compagni di avventura non abbiano voluto sfruttare questa possibilità.
Vedrai, li troviamo uno fuori che fuma e l’altro sdraiato a guardare la televisione. Non è la fine del mondo, ma almeno stare a mollo nell’acqua tiepida e piena di bolle rilassa davvero tanto. Quando proviamo ad uscire, scopriamo la sorpresa: fa freddo ed il costume diventato subito gelido rende difficile camminare. Il tessuto gelato si appiccica alla pelle delle gambe ed è davvero una sensazione sgradevole. Decidiamo di toglierlo e di fare ritorno alla base con l’asciugamano avvolto in vita. In pratica abbiamo percorso quattrocento metri all’aperto reggendo l’asciugamano con una mano e cercando con l’atra di strappare quello dell’amico. Arriviamo davanti alla casa e troviamo il Cagno con la faccia appesa delle grandi occasioni e l’immancabile sigaretta tra le mani. Dentro Eros sta terminando di vedere un’interessantissima partita di pallamano tra squadre di seconda divisione del campionato ungherese con commento in magiaro antico e sottotitoli in croato. Poi dal niente, è partita la discussione già spiegata alcune righe fa. In momenti come questi, ti accorgi tuo malgrado che incominci ad invidiare quei cinesi che sono rimasti intrappolati nella coda del secolo. L’unica cosa che mette tutti d’accordo e scaccia ogni apatia è la cena. La sera precedente abbiamo provato a farci un bel piatto di pasta, ma non siamo stati assistiti a dovere dalle piastre elettriche. Con la prima, la più grande dopo un’ora l’acqua era lungi dal bollire. Il Giangi, aveva proposto di dividere l’acqua in due pentole e di usare anche la seconda piastra non ottenendo però alcun miglioramento. Da notare che mentre nella pentola l’acqua faticava a raggiungere la temperatura, quella presa direttamente dal rubinetto ti scorticava le mani per il calore. Così, con manovre ardite ho buttato via un po’ dell’acqua dalla pentola aggiungendo quella dal lavabo riuscendo dopo il tempo record di un’ora e cinquanta ad ottenere la benedetta ebollizione. L’idea di dover impiegare tre ore per prepararsi la pasta asciutta è a dir poco vomitevole, e poi siamo stati in casa tutto il pomeriggio. Ci prepariamo ed andiamo in cerca di un ristorante.
«E delle sigarette!» Commenta Daniele.
Siamo pronti ed usciamo.
L’ambiente è ancora scosso dalla discussione. In macchina, riprende la diatriba senza arrivare a nessuna conclusione, quindi di comune accordo decidiamo che ora di farla finita. Arriviamo a Lenti ed ai due nostri amici fumatori viene quasi un coccolone quando si accorgono che il supermercato è chiuso e che non possono trovare la loro ricarica di nicotina. Giriamo per la città, ma non troviamo un solo negozio aperto. Il conte va nel panico. Conta i colpi che gli restano in canna e preoccupato lancia la sua proposta: «Andiamo a Zahjlera, compriamo le sigarette e poi troviamo un ristorante per mangiare lì.»
Gli facciamo notare che la città cui fa riferimento lui è a quasi un’ora di strada e che essendo quasi le nove, si rischierebbe di non trovare aperto né un tabaccaio, né un ristorante.
Per fortuna incrociamo alcuni ragazzi che danno al guidatore sull’orlo di una crisi di nervi un po’ di ossigeno. Riescono a spiegare che c’è un distributore di benzina che dovrebbe vendere anche i tabacchi e che normalmente è aperto 24 ore. Lo troviamo. I due comprano la loro dose di droga e sono più sereni. Troviamo sempre a Lenti un bel ristorante grazie all’ausilio della preziosa collaboratrice vocale. Ci manda sulla “affanculovoiel’istint utca” e vediamo l’insegna di un locale. Scendiamo, e ci troviamo di fronte al solito dilemma della lingua. Ci accomodiamo e notiamo che i menù sono sotto titolati in inglese.
Il locale è stranamente frequentato. Del resto siamo in città. C’è un tavolo con sei signori probabilmente austriaci, un tavolo con una famiglia e due giovani ragazzine, poi dietro al Bepi una coppietta e dietro me un’altra coppia un po’ meno giovane. Sandro osserva entrambe le coppie e poi emana la sentenza:
«Linguaggio del corpo! Vedete queste due coppie: ebbene, una solo di queste stasera dopo la cena esce e fa sesso, quale è?»
Non ci sono risposte sensate, anche perché quando arriva da mangiare si ha altro da fare. Poi, c’è un po’ di timore che possa nascere una nuova discussione come la precedente. Risponde lui:
«Questa dietro di me, da come si muove, da come si pone rispetto al suo fidanzato ha già ben chiaro in mente che dopo la digestione si apparterà in un parcheggio e che saranno fuochi e fulmini. Quell’altra…» Indicando la donna alle mie spalle, «Si vede che non è interessata all’uomo che ha di fronte e che sta lì solo per educazione. Probabilmente vorrebbe essere a casa sua a vedere la televisione, piuttosto che lì con lui.»
Qualcuno obietta qualcosa e lui, imperterrito spiega:
«Le mani davanti alla bocca quando parla, la postura svogliata sulla sedia e la faccia così seria…
sono tutte cose che mi assicurano che è come dico io. Il linguaggio del corpo, non mente mai e…»
«Ueh Giangi, guarda che anche tu parli con il corpo…» Lo blocca Daniele con il solito tono milanesizzato, innescando una fragorosa risata.
«E fai anche dei bei discorsi!» Aggiungo io in perfetta linea con il conte, «anzi, si può pure assicurare che a volte ti esprimi meglio con il corpo che con la bocca.»
la coppia trombante, seconda la teoria del nostro amico, si alza e se ne va, lasciandoci a ridere al tavolo. L’altra coppia continua ad occupare il tavolo in fondo al locale. Che abbia ragione il Giangi? Non lo sapremo mai.
Sulla strada del ritorno incontriamo l’ultimo cerbiatto della nostra esperienza in Ungheria, e poi tutti nell’appartamento 310 dell’Abbazia Country Club.
Daniele avanza l’ipotesi di ritornare con un giorno di anticipo, incontrando il parere contrario di Eros ed il mio, che speriamo il giorno seguente di riuscire finalmente a fare qualcosa di meglio. Eros, con le mie scarpe è riuscito a camminare per venire al ristorante e se il tempo finalmente ci assisterà, si potrebbe fare un ultimo salto al lago Balaton. Sandro invece, è dell’idea di spendere l’ultimo giorno in un posto più allegro e propone Jesolo. Ne segue una breve discussione che termina subito, questa volta senza bisogno di alzare la voce. Si rimane.

i diari di nemesnep 5

Siofok

Sandro era arrivato in terra magiara carico come una molla. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere con noi. Appena arrivato, aveva iniziato la sua opera di PR tampinando ogni esemplare femminile avesse avuto la sfortuna di incrociarlo. Come minimo un “Ciao” con sorriso a trentadue denti lo aveva dedicato a tutte. Aveva fermato solo giovani ragazze, per chiedere informazioni e non aveva perso nessun’occasione per essere galante a modo suo. In tarda serata, un po’ per il protrarsi delle pessime condizioni atmosferiche ed un po’ perché noi lo prendevamo in giro aveva perso un po’ della sua verve. Tanto che adesso se salutava qualcuna di quelle che incontrava non mancava di puntualizzare:
«Ciao! No sex!»
Persino vicino all’albergo, ad una professionista che lo aveva avvicinato, aveva recitato come da nuovo copione:
«No sex!»
La mattina, dopo la telefonata della sua collega, si era ammosciato un pochino ancora, ma poi chiacchierando si era ripreso e stava ritornando quello del giorno precedente.
Arriviamo al lago Balaton nel primo pomeriggio. C’è un vento fortissimo ma almeno c’è il sole.
Siofok, considerata la Rimini dell’Ungheria, tradisce un po’ le attese. Ci sono le spiagge e ci sono molti locali e negozi, ma sicuramente nulla a che vedere con la città romagnola. Ad ogni modo, dopo la desolazione di Nemesnep e dopo il fiasco di Budapest, non si può che apprezzare.
Ci sono delle onde sul lago, che non fanno certo rimpiangere quelle del mare.


Non c’è molta gente nel parcheggio dove siamo fermi, decidiamo di scendere ed incrociamo le statue di due vogatori con tanto di remo che sembrano guardarci. Le battezziamo subito “Testa” e “Di Cazzo.”



Le spiagge non devono essere brutte e di sicuro le acque del lago devono essere balneabili, non fosse per la bora che imperversa, magari si potrebbe mettersi in costume. Ma non c’è tempo: è ora di pranzo e bisogna cercare un ristorante; c’è qualcuno non transige.
Risaliamo verso il centro della piccola città. Ci sono molti negozi e parecchi posti dove poter mandare giù un boccone, ma dopo il Mac di ieri notte e la colazione di questa mattina diamo atto che ci vorrebbe un bel ristorante. Dopo aver incrociato un night club rigorosamente chiuso, proseguiamo parallelamente alla riva del lago su una via dove ci sono ogni genere di bancarelle e di souvenir. Andiamo abbastanza di fretta, per osservare con attenzione la merce in vendita, ma di sicuro volendo si potrebbero fare dei buoni affari. Continuando a camminare si arriva in un’altra via anch’essa di carattere commerciale. L’attenzione del Cagno si sofferma su una vetrina dove sono esposti dei costumi d’epoca.
«Ce la facciamo una foto in costume?» Propone offrendosi per interpretare la parte di una donzella con abito lungo. Non mi meraviglia per niente. Del resto nel rappresentare i quattro connazionali di Emilio Fede, la parte del culattone era la sua. L’idea ad ogni modo, non raccoglie molti consensi e poi, poi finalmente abbiamo adocchiato la nostra meta. Il ristorante! Il locale è di sicuro molto bello ed invitante, ma quando Sandro nota che dentro ad un tavolo ci sono quattro giovani donne, entrarvi diventa un must. Il cameriere ci dice di scegliere pure il tavolo dove accomodarci, ed il nostro eroe fa in modo che questo sia il più vicino possibile a quello delle ragazze. Lui poi fa in modo di avere il posto quasi confinante con quello delle tre giovani donne.
Sandro fa tutto il possibile per attaccare bottone. Prima saluta, poi risaluta, poi saluta ancora senza ottenere alcuna risposta. Poi quando il cameriere viene a prendere le ordinazioni, lui ovviamente decide di scegliere lo stesso piatto della ragazza che ha di fronte, non perdendo occasione per lanciarle un sorrisone per nulla corrisposto. Tutt’altro: quando lei ad un certo punto solleva il coltello parlando con le amiche in un idioma sconosciuto, temo il peggio. Invece, fortunatamente lei sembra volersi specchiare nella lama e lo ripone in tutta tranquillità.
Alle spalle di Daniele invece sono sedute tre donne anziane che ci guardano con insistenza. Una di loro in particolare, sembra adocchiare con una certa bramosia il nostro amico. A parte l’età, che non gioca certo a suo favore, la donna è sicuramente bruttina… no, non è corretto è proprio un mostro. Capello grigio topo, occhiali tipo talpa miope, dentatura a cruciverba con alcuni spazi nei tra le caselline bianche, occhio languido e una carnagione così smorta che il nostro ex compagno di carte Zagni al confronto sembra essere Eto’o. Davanti a lei, è seduta un donnone un po’ più giovane ma con il fisico alla “ciccio bastardo” uno dei protagonisti di Austin Powers. In pratica una specie di ippopotamo grasso con la parrucca bionda. Completa il gruppo la più figa della combriccola, un po’ più giovane ed un po’ meno robusta dell’amica, ma lo stesso più simile ad un Fiat Doblò che ad una donna. Le ultime due sembrano essere più interessate a quello che hanno nel piatto, mentre la prima non molla nemmeno per un secondo il nostro tavolo. Metto in allarme Sandro, anche se in realtà l’obiettivo degli sguardi del mostro sembra essere il Cagno che propone una riflessione:
«Vedi, il sentimento che noi proviamo per gli sguardi di queste, è di sicuro lo stesso che queste altre…» con un cenno del capo indica il tavolo con le tre giovani, «possono provare per te.»
Un ragionamento filosofico che avrebbe meritato ben più ampio risalto invece:
«Dai Cagno, non è poi così male quel mostro lì.»
Ci scappa un “piuttosto vado con un uomo.” Una frase fatta, che però da il la ad una furibonda discussione. Si comincia con il parlare dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, per continuare prendendo in esame i problemi che potrebbero derivare dall’unione tra due uomini e dell’amore che questi potrebbero provare reciprocamente. Il Cagno, pur dicendosi tollerante, in realtà è un acceso contrario alla possibilità che due persone dello stesso sesso possano unirsi in una coppia di fatto. Arriva ad affermare che un gay è di sicuro un contro natura. Eros viaggia più o meno sulla stessa lunghezza d’onda mentre Sandrone, forse ancora turbato dalla metafora filosofica di poco prima, o forse perché impegnato a chattare con qualche amica è avulso alla discussione e stranamente ci risparmia i suoi also sprach sulla materia. Spetta quindi a me, issarmi sulle spalle la bandiera dell’arci gay e di difendere a spada tratta i finocchietti di mezzo mondo. Nel ranking di Emilio Fede da quel momento divento io il “connazionale culattone.”
Pur premettendo di non amare l’idea che due uomini si possano sposare, e che possano mettere su una famiglia, non mi sento nelle condizioni di poter decidere di evitare che questo possa succedere. M’irrita poi, il fatto che una persona, che ha gusti sessuali differenti dalla maggior parte degli altri possa essere considerato contro natura. La considero quasi una frase nazista e non manco di farlo notare agli altri. Nel ristorante siamo rimasti solo noi, ma facciamo un casino infernale.
«Una coppia gay è contro natura perché non è in grado di procreare.»
«Una donna eterosessuale che prende la pillola per tutta la vita è contro natura allo stesso modo, se il metro di misura è lo stesso.»
«Ma la donna decide lei stessa di non avere figli, un gay non può averne.»
«È ancora peggio. Ed una donna che è sterile come la consideriamo?»
«In quel caso si tratta di una persona normale che però la genetica ha voluto incapace di procreare.»
«Anche gli omosessuali non possono scegliere ma hanno una differenza a livello genetico che…»
«Che li rende diversi. Quindi anormali, quindi contro natura.»
Abbiamo pagato e siamo sulla strada. I camerieri avranno visto di buon occhio il fatto che ce ne siamo andati perché la discussione si stava facendo davvero molto accesa. Per le vie di Siofok, incrociamo alcuni turisti, probabilmente tedeschi o austriaci, che ci guardano male per il casino che stiamo facendo. Anche molti dei negozianti ci lanciano occhiatacce. Evidentemente sono abituati al silenzio ed al clima mesto e triste dei loro connazionali. Poi arriviamo davanti al negozio di una ragazzina che sentendoci arrivare da lontano è scesa in strada e mi sorride.
«Si capisce che siamo italiani, vero?»
«Sì!»
La bella ragazzina dice di avere venti anni e di avere studiato l’italiano a scuola come seconda lingua. E lo ha studiato molto bene, perché conosco italiani che parlano la nostra lingua molto peggio di quanto lo fa lei. Ha due occhi azzurri come il cielo, non quello di Budapest naturalmente. Sandro che è più avanti si gira e vedendoci fermi a parlare con una ragazza strabuzza gli occhi e ci raggiunge. Comincia subito con la sua tattica a cercare di farla parlare le da l’indirizzo di face book, così se per caso dovesse mai venire in Italia si offrirebbe di ospitarla. È come se cappuccetto rosso decidesse di alloggiare a casa del lupo. In ogni caso, acquista da lei i regali che aveva pensato di fare a Roberto.
Dopo aver pranzato c’è più tempo per soffermarsi a guardare le bancarelle ed i negozi. Daniele trova quasi subito il souvenir da comperare e da portare come ricordo. Purtroppo, adesso che siamo in quattro non c’è posto nel bagagliaio, e deve desistere dall’acquisto. Il solerte venditore gli assicura che un pezzo del genere è difficilissimo da trovare altrove, e propone un imballo particolare che permetterebbe di trasportare l’oggetto.
«Coma tu vede…» il giovanotto parla un italiano grezzo «noi si fa pacco e si lascia fuori maniglia. Così tu porta in giro lui come valigia.»
Il problema però, non è portarlo fino alla macchina ma piuttosto riuscire a metterlo nella poderosa.
«Tu ha maniglia…» si permette d’insistere il commerciante.
«Ma quale maniglia?» Chiede il Cagno un po’ spazientito. È allora che Sandro rompendo gli indugi gli mostra la maniglia in oggetto.


Tornando alla macchina facciamo la conoscenza con un tipo del luogo che, mantenendo intatta la tradizionale diffidenza dei magiari non ci parla anche se continua a guardarci con aria benevola. Lo salutiamo, anche se il suo sorriso non ci mancherà.


Ci fermiamo in macchina a guardare le onde sul lago. C’è un vento abbastanza forte tanto che sconsiglia di stare all’aperto a godersi il panorama che ora, complice anche qualche raggio di sole ed un cielo finalmente un po’ più azzurro è ancora più bello. Dentro la poderosa, Sandro tiene una lezione di tattica di conquista femminile. Ci spiega il segreto del suo successo, che è basato su un sottile gioco di equilibri.
«… l’importante è portare la donna a parlare con te, a considerarti amico fino al punto da cominciare ad abbassare le proprie difese…»
«Così poi le abbassi le mutandine!» Obietto distrattamente io.
«Come corri! Quello è lo step successivo.»
Scendiamo sul prato antistante il lago e ci avviciniamo ad una panchina. Passa un gruppetto di turisti e quando sono vicino a noi, Sandro fa magicamente comparire dal nulla un giornale porno e lo fa cadere per terra. Il tutto, in modo che sembrasse caduto ad Eros e Daniele seduti sulla panchina. In pratica non credo proprio che nessuno si sia accorto né del giornale né tantomeno della sua natura. Il gioco però diverte un pochino e lo ripetiamo poi nel parcheggio.
Tutti in macchina. Nemesnep ci attende. Impostiamo il navigatore che ci guida con la gentile voce della signorina sulla utca del caso fino a riprendere l’autostrada.
C'è ancora il tempo per una nuova esperienza. Durante il tragitto, infatti, due ragazze ci superano e per un po' ci stanno davanti. Sandro riemerge dal letargo in cui stava fino apochi secondi prima e prega il nostro guidatore di superarle a sua volta. Naturalmente, durante il sorpasso, saluta si sbraccai e fa di tutto per farsi notare, senza però risultato. Il Cagno rallenta e dopo qualche chilometro le ragazze risuperano. stessa scena con bacino saluti e quant'altro, ma stesso risultato: nessuno. Sandro si abbassa i pantaloni e quando la poderosa risupera l'utilitaria con le due giovani, espone dal finestrino il "gianicolo". le ragazze da allora in poi si sono mantenute a distanza di sicurezza.
La nostra compagna chiacchierina, ci fa fare una brevissima scampagnata in Croazia, per poi risalire verso casa dalla Slovenia. Ripassiamo davanti alla casa con le pecore di plastica e dei cani suicidi, quindi finalmente avvistiamo la nostra Abbazia.

i diari di nemesnep 4

Keszthely

Sandro a tutti gli effetti movimenta un po’ l’ambiente. Con lui a bordo, anche Pupo, la più grande rock star Italiana di tutti i tempi diviene tollerabile. Naturalmente il rovescio della medaglia è che in un attimo riesce a colorare di rosso fuoco qualsiasi discorso. Le sue estemporanee novelle di sesso si mischiano a storie di vita vissuta ed alle immancabili pillole di saggezza. Svaria a tutto campo da storie penetrazioni anali con particolari lubrificanti miracolosi, ai sentimenti profondi provati ora per una ora per l’altra ultima fiamma. Immancabili, le sue recensioni su ogni tipo di dildo disponibile sul mercato, assicura che il suo “Nero” è il meglio che la tecnologia possa avere messo a punto in fatto di falli meccanici. Inutile negarlo, lui è un vero e proprio Michelangelo del vibratore.
Tutto questo, fa parte del pacchetto: Sandro o lo prendi intero o lo lasci perdere. Non puoi scegliere di prenderne solo una parte. Lo abbiamo preso, lui s’insinua immediatamente come un raggio di sole a primavera, entra pianino e subito insinua sicuro come una mano sotto la gonna.
Il suo arrivo rivoluziona subito alcune abitudini: primo fra tutte quelle alimentari. Fanno la loro comparsa tra le vivande generi che non dovrebbero centrare nulla. M&Mens come se piovesse, salamino ungherese (affumicato e non semplice da affettare), arachidi tostate, biscotti stranissimi, bevande colorate e soprattutto le pesche noci entrano prepotentemente nella nostra dispensa. In un negozio riesce nella non facile operazione di comprarne ben trentasei. In pratica in un solo giorno ha comprato quello che l’intero paese di Lenti consuma in un paio di settimane. Immagino la sorpresa per il personale del supermercato al momento di fare il riordino della merce venduta.
Il vederlo ordinare il necessario per farci dei semplici toast scaccia ogni malinconia. Con la salumiera dietro il banco che conosce a malapena qualche parola d’inglese, inizia uno strano duetto: con l’indice della mano destra mostra il tipo di prosciutto da affettare e quando la donna lo mette sull’affettatrice le fa l’occhiolino. Lei chiede quanto deve affettare con un timido «How many.» E per tutta risposta il nostro eroe portandosi ripetutamente le mani semichiuse alla bocca le dice Gnam Gnam Gnam. Per farle comprendere che il prosciutto ed il formaggio per il quale si ripete più volte la scenetta del Gnam gnam serviranno per dei toast, Sandro mette in scena un’altra perla. Porta le due mani semichiuse come se stessero stringendo qualcosa davanti al petto, poi all’improvviso le fa saltare verso l’alto disegnando per entrambe una parabola uscente. In pratica stava simulando le fette di pan carrè espulse da un tostapane tipo americano. Questa ha dovuto spiegarla anche a noi.
Certamente, accordarsi per lo spessore delle fette è stato più semplice mimando con l’indice stretto vicino al pollice che desiderava fette piuttosto sottili. Nel vedere il tentativo di dialogo tra Sandro e la malcapitata salumiera, non si può fare a meno di pensare a Robinson Crusoe ed ai suoi primi tentativi di parlare con l’amico Venerdì. In ogni caso, non possiamo lamentarci perché alla fine della fiera i nostri toast siamo riusciti a mangiarli. Certo non erano granché, ma questo non dipende sicuramente dalla sua interpretazione.
Davvero, troppo divertente. Da lacrimare dal ridere. Per pagare il prosciutto ed il resto abbiamo usato Mastercard, ma lo spettacolo che ci ha saputo regalare è stato davvero impagabile.
Un’altra mitica scenetta si è svolta all’interno di un ristorante sul lago Balaton. È tardi e temiamo, che i locali possano chiudere, quando troviamo finalmente dove fermarci. Il locale è molto carino con parecchi tavolini all’aperto, ma spira una certa brezza e quindi preferiamo accomodarci all’interno. Una giovane cameriera ci accompagna ad un tavolo mentre in fondo al salone un uomo, probabilmente il cuoco sta mangiando un’invitante cotoletta con patatine. Appena ci sediamo lui, raccoglie il piatto e scompare dietro la porta della cucina. La cameriera molto carina arriva con il blocco per le ordinazioni, ma come succede spesso non parla né italiano né inglese. Ci lascia il menù con i piatti scritti solo in ungherese e forse in tedesco. Tra l’altro io non ho neppure preso gli occhiali da vista e sono in grave difficoltà nel cercare di leggere. Proviamo a spiegarle che vorremmo anche noi lo stesso piatto che stava mangiando il suo collega, ma non riusciamo ad entrare in sintonia con lei. Cerca di spiegarci qualcosa in tedesco, poi quasi spazientita, ci affida ad una sua collega. La seconda ragazza non parla inglese ma sembra decisamente più paziente. A questo punto rompendo gli induci entra in scena Sandro che, con il suo solito sorriso le fa capire che le spiegherà esattamente quello che vogliamo. Il nostro socio esce dal locale per entrare ballonzolante pochi secondi dopo. Indica dapprima i suoi occhi e poi il tavolo dove era seduto il cuoco. Poi sorridendo corre a sedersi allo stesso posto dove era seduto lui e finge di mangiare con il suo marchio di fabbrica Gnam Gnam Gnam.
Scoppia una risata generale che coinvolge oltre alle due cameriere anche il cuoco affacciatosi per capire che cosa stesse accadendo. Alla fine ordiniamo tre gnam gnam ed un piatto surprise per il nostro consumato attore. Una decina di minuti dopo abbiamo davanti a noi tre wiener schnitzel identiche a quelle che desideravamo ed un piatto strano, al quale comunque il buon Sandrone rende onore.
Non di solo Sandro però è fatto il nostro gruppo. Spesso basta un niente, una frase per fare scattare quel click che condiziona il modo di parlare e per intraprendere una nuova strada divertente. Cioè basta il giusto La per accordare quattro vecchi tromboni come noi e creare una sinfonia comune. Capisco che non è facile capire quello che sto per scrivere, quindi passo al sodo: arriviamo a Keszetely una località difficile da pronunciare ma decisamente carina. Siamo a pochi chilometri dal Balaton ed il tempo è discreto anche se purtroppo è quasi sera. Fa un po’ freddino, ma l’ambiente non è decisamente male. Qui c’è il centro pedonale con il pavé e con tutti i negozi che avrei sognato di trovare a Nemesnep. Appena superato il centro storico, incrociamo un sorcio (era un uomo ma aveva davvero l’aspetto di un brutto sorcio) che ci avvicina con la scusa di chiedere l’ora. Poi con un italiano un po’ stentato ci propone di seguirlo in un night dove conosce alcune ragazze. Il tizio ha un aspetto che giudicare inaffidabile è in eufemismo. Credo che sarebbe più sicuro sdraiarsi sopra un covo di vipere che dargli retta. Difatti, lo congediamo con gentilezza e proseguiamo. Senza volerlo ci spingiamo un po’ fuori dell’area pedonale per finire in una piazza con alcuni negozi dall’aspetto sporco e poco raccomandabile. Mentre siamo fermi, due ragazzotti attraversano l’ampia piazza e ci si avvicinano mettendo in allarme Sandro che comincia chiedere insistentemente di andare via. Daniele ed Io lo seguiamo, mentre Eros che è al telefono con la moglie rimane più indietro. A quel punto Sandro lo chiama e gli fa ampi gesti di venire via, ma niente lui è troppo impegnato a parlare con Bruna. Lo chiamiamo anche noi e lui quasi scocciato ci fa segno di aspettare. Quando finalmente si decide a venire verso di noi vedo i due giovani che fissano insistentemente il suo marsupio. Gli vado incontro di buon passo ed uno dei due alza la mano per segnalare qualcosa ad un altro paio di figuri fermi dall’altra parte della piazza. Per fortuna Rosino passa indenne davanti ai due e mi raggiunge così insieme possiamo riguadagnare la strada che ci separa dai nostri colleghi.
Riunito il gruppo cominciamo a commentare quello che per fortuna non è accaduto. In una di queste fasi il Cagno viene colpito da illuminazione.
«Pensate se ci avessero aggrediti, questa sera al Tg4 Emilio Fede avrebbe cominciato con: “Ci giunge ora una notizia ancora da verificare dall’Ungheria, sembrerebbe che quattro nostri connazionali dei quali al momento non conosciamo ancora l’identità, siano stati assaliti da alcuni malavitosi locali che…» era il click! Difficile esimersi dall’immedesimarsi in chi seduto davanti al televisore avesse avuto la possibilità di vedere la faccia contrita del direttore la faccia da rispolverare ogni qualvolta c'è necessità di commentare fatti di questo genere. Impossibile astenersi dal commentare, e dal cercare di aggiungere ogni volta altri particolari alla vicenda. Si arriva in breve a dare se non un nome ai quattro almeno una descrizione di massima, una professione. Prendono fisionomia così, in breve tempo il mafioso (Eros), il pizzaiolo (modestamente io), il puttaniere (nessun dubbio, Sandro) ed il culattone (Daniele) attori inconsapevoli dell’edizione speciale del Tg4.
Ridendo come stupidi attraversiamo ancora il centro pedonale e ci fermiamo davanti ad una cartina della città. Stiamo cercando di capire dove ci troviamo e che strada prendere per il lago, quando la voce sgradevole del sorcio ci arriva alle spalle.
«Per andare al lago basta andare di là! Se venite con me vi faccio conoscere Isabella, Margherita, Laura e…»
Questa volta lo allontaniamo in maniera più brusca, ma lui incurante dei nostri modi ci chiede qualche euro. Lo ignoriamo, anche perché è difficile pensare che non ci sia un nesso tra il suo primo incontro ed il tentativo d’aggressione messo in atto pochi minuti prima. Nel dubbio meglio averlo fuori dei piedi.
Quando arriviamo alla poderosa, troviamo un’altra sorpresa. Tra decine di macchine parcheggiate solo la nostra è stata presa d’assalto da orde di volatili maleducati che l’hanno scambiate per un gabinetto. La macchina, infatti, è stata bersagliata da qualche centinaio di uccelli di ogni tipo e dimensione dell’orifizio anale a giudicare dalle dimensioni di alcuni dei regalini che ci hanno lasciato. Oltre ai magiari che non hanno mai dimostrato particolare simpatia per gli italiani, sembrerebbe che anche gli animali siano sulla stessa lunghezza d’onda non perdendo l’occasione per farci sentire la loro avversione verso di noi. Di fronte a tale scempio, il Cagno si lascia andare a:
«Guarda che schifo! Speriamo che piova così mi lava la macchina.» Una profezia che come vedremo condizionerà le nostre ferie.
Ci avviciniamo finalmente al lago. È il tramonto e tutto sembra ancora più bello. Sandro con il suo telefonino multi tasking, sta filmando il momento storico: «Questo è Daniele, quest’altro è Nereo, quello là è Eros ed in fondo si può vedere il lago Badolat…»
«Balaton! Balaton, non Badolat!» Lo correggo.
«Ed io che ho detto?! Badolat no?» Replica lui senza scomporsi.
C’è un bel pontile lungo che porta ad un invitante locale tutto illuminato. Nulla da spartire con alcune città dei nostri laghi: Varenna, Bellagio, Menaggio o Stresa sono di un’altra categoria, però non nego che anche Keszetely non è proprio male. Ed anche questo Badolat… Balaton è all’altezza delle attese. Dal pontile si può vedere un bel tramonto ed il rosso di sera, è di buon auspicio. In lontananza poi si vede un ferry boat con tutte le luci accese e la musica. Una bella atmosfera romantica e retrò.

la casa alla fine del pontile

«Il lago Balaton è il più grande d’Europa.»
«Non è vero, il più grande è l’Aral!»
«Ma quello lì, è salato e non conta.»
«… allora dove lo mettiamo il mar Caspio?»
«Ma ci sei o ci fai? Se si chiama mare, non è un lago.»
«Si, ma solo perché nell’acqua c’è un po’ più di sale, altrimenti a tutti gli effetti sarebbe un lago.»
«Ah beh, se allora consideriamo anche quelli salati, il più grande è il mar Morto.»
«Ma quello lì è in Israele è in Asia.»
«Come in Asia? Ma se Israele gioca le qualificazioni all’europeo con la Germania…»
questi discorsi hanno accompagnato il nostro avvicinamento al lago. Sono partiti da una dichiarazione del Cagno, cui hanno fatto seguito tutti gli altri commenti. A turno ognuno si è sentito in diritto di dire la sua, il tutto con l’educazione e l’aplomb delle grandi occasioni. In pratica sul pontile c’è tanta gente che in silenzio sta passeggiando o semplicemente tornando alla macchina, solo noi quattro facciamo casino. Così, lì dove fino a qualche minuto prima si sarebbe potuto udire il boccheggio di una scardola salita in superficie a prendere una boccata d’aria, o l’emissione di aria intestinale di una folaga in volo, adesso si scatena una tempesta di decibel.
«Questo lago ha due precise caratteristiche che lo rendono unico…» Sorprendendo tutti, il Cagno esce con questa sua frase che ha il poter di zittirci tutti. Pendiamo dalle sue labbra nella attesa che ci spieghi le caratteristiche del Badolat.
«Primo, questo lago ha delle acque che sono normalmente più calde, rispetto all’ambiente che lo circonda. La temperatura è di circa trenta gradi. Secondo, la massima profondità del lago è di tre metri.»
Stupiti da cotanta sapienza c’inchiniamo davanti all’amico che con ogni evidenzia si è preparato prima di arrivare in Ungheria. Venendo meno alla sua indole, da sempre contraria a leggere testi scolastici, deve avere aperto almeno un atlante per essere così sicuro del fatto suo. Lo stupore iniziale però, come sempre, si trasforma presto in una nuova occasione per sparare amenità e cazzate su quanto appena appreso. Riprendiamo, infatti, a fare commenti ad alta voce ed a ridere come dei fessi. Non c’è nulla da fare: è proprio dentro di noi.
Siamo quasi alla fine del pontile. Mi avvicino al probabile punto d’approdo del ferry che è sempre più vicino, per guardare l’acqua del lago.
«Stai attento mica di cadere proprio lì, dove l’acqua è profonda tre metri.» Scherza Sandro ridendo come un matto. È l’occasione per il Cagno per riprendere il tormentone di qualche minuto prima:
«Ci arriva in redazione proprio ora una notizia. Un nostro connazionale del quale sfortunatamente non conosciamo il nome, è misteriosamente annegato nel lago Balaton. L’uomo, di professione pizzaiolo è disgraziatamente scivolato nel punto più profondo di tutto il lago…»
Ripartono le risate sonore e la solita selva di precisazioni, atte a rendere ancora più tragica e comica possibile la fine del povero pizzaiolo connazionale di Emilio Fede.
Così tra un “no, senti questa!” o un “ di lui è stato recuperato il solo “berretto da pizzaiolo” siamo finalmente arrivati in fondo a quel lunghissimo pontile. La gente normale, quella austriaca, ungherese, tedesca e tutti gli altri ci sfilano a fianco guardandoci storto. Per loro, abituati al grigiore dei loro silenzi ed a quelle facce appese, più adatte a partecipare ad un funerale che ad una festa, vedere quattro rimbambiti stagionati come noi, fare un casino infernale e soprattutto ridere spudoratamente senza il minimo ritegno, deve essere veramente come un calcio nel cuore.
Forse, anzi sicuramente non stiamo facendo una bella figura, ma per una volta un bel “chi se ne frega” glielo vogliamo mettere?
Ad un certo punto mentre si scherza ancora sulla mia sorte di annegato nel Balaton, una signora ci avvicina;
«Italiani?»
«Perché? Ci sono forse dei dubbi?» Verrebbe da ribattere. Invece annuiamo e ci fermiamo a parlare. Con lei ci sono anche il marito ed una ragazzina. Ci presentiamo: loro sono di bari, e sono alloggiati in un agriturismo poco lontano, sulle rive di un altro laghetto. Ci raccontano che il loro alloggio è molto bello e che il laghetto è termale ed ha l’acqua a trentatré gradi. In pratica, anche nella giornata fredda di ieri hanno potuto tranquillamente fare il bagno. Beh, noi ci siamo lo stesso consolati con le continue docce direttamente dal cielo, ma non è decisamente la stessa cosa.
Della serie ci vuole costanza e ci vuole coraggio ad invecchiare senza maturità, parliamo un po’ di noi. Solo un po’. Abbastanza da riuscire nella non difficile impresa di sputtanarci divertendosi. In meno di un quarto d’ora o tre estranei non sono più tali. Sanno tutto: dal fatto che le nostre mogli ci hanno lasciato andare stranamente in Ungheria, senza la minima opposizione. Sanno che siamo capitati nel bel mezzo del niente. Sono a conoscenza che né io né Sandro potremo cavalcare, perché il nostro peso è superiore al limite consentito e che per cucinarci un piatto di pasta abbiamo impiegato un’eternità per fare bollire l’acqua. Non abbiamo quasi più segreti.
I tre ridono come dei matti, contribuendo a fare un po’ di casino.
«Sono così tristi questi ungheresi…» Commenta la signora tra una battuta e l’altra.
Sicuramente nel loro girare per i paesi dell’Ungheria, mai avrebbero pensato di trovare un siparietto così divertente. Obiettivamente anche se il paese è gradevole, è tutta un’altra cosa poterselo godere facendosi qualche sana risata. Il marito poi, sembra apprezzare così tanto il clima goliardico ed un po’ bohemien che ci portiamo appresso, che sembrerebbe sul punto di mollare moglie e figlia nell’incantevole laghetto termale per unirsi a noi a fare casino. La ragazzina, davvero carina, se la ride sotto i baffi e sembra essersi tolta di dosso quell’aria apatica di quando si é fermata a parlare. Probabilmente si starà chiedendo se i quattro uomini sono davvero così… oppure se ci stanno mettendo del loro per apparire in quel modo. Nessuno di noi vuole deluderla, le lasceremo per sempre quel dubbio, anche se la risposta è ovviamente ovvia.
Riusciamo persino a raccontare della disavventura del nostro cuoco quando per sbaglio ha messo lo zucchero al posto del sale nell’acqua della pasta, varando così i celebri spaghetti dolci alla bottarga. Poi d’improvviso la genialata del nostro fuoriclasse:
«Vi dice niente il XXIV battaglione Baracca?»
Silenzio. Non c’è alcuna risposta e tutti ci guardiamo stupiti. Io guardo Sandro e mi sembra di essere allo specchio. No, non ci assomigliamo e poi lui è di sicuro più rosso. Volevo dire che sui nostri volti è comparsa contemporaneamente la stessa domanda: “Che cazzo sta dicendo questo qua?”
«No perché… avendo io fatto il CAR a Bari nella caserma Cadorna, mi piacerebbe sapere se il maresciallo maggiore Pasquale De Nicola è ancora lì.»
Scoppiamo a ridere. Sandro no–limits si lascia andare così tanto che assume una colorazione rosso Ferrari sulle gote che sembrano poter prendere fuoco da un momento all’altro.
Alla fine delle risate, ci salutiamo. Loro ci assicurano che il giorno seguente saranno a Budapest e sono sul punto di darci il loro indirizzo, in modo che caso mai ci si possa rincontrare.

Il ritorno alla base non è meno divertente. Siamo stanchi è vero, ma attenti perché la strada è buia (d’illuminazioni neppure a parlarne) e piuttosto contorta. Per un lungo pezzo poi, stanno facendo dei lavori sulla banchina ed il dislivello tra l’asfalto e il terreno può variare da 30 cm a quasi un metro, uscire dalla carreggiata con una ruota vorrebbe dire probabilmente ribaltarsi o in ogni caso giocarsi la poderosa. Nel buio più totale ci appare un cerbiatto. L’animale, volta il muso verso i fanali della macchina e per un attimo i suoi occhi divengono gialli come due lampadine. Poi, con un balzo salta tra gli alberi e sparisce nell’oscurità. Sandrone immediatamente prende l'inseparabile telefono e compone il numero di una sua amica:
«Incredibile! Sai che cosa abbiamo incontrato per strada?»
«No, cosa?»
«Un bambi!»
Segue un breve dialogo costellato di carinerie, sbaciucchiamenti che terminano con un dolce augurio di buona notte.
Percorriamo qualche chilometro ed incrociamo sul nostro procedere la sagoma inconfondibile di un cervo. Sandro riprende il cellulare e ripete la chiamata:
«Sai, ho visto un cervo in mezzo alla strada.»
«No! Davvero?»
«Sì era stupendo! Era un bellissimo esemplare maschio…» poi stessa solfa della chiamata precedente: «mi manchi tanto…», «No io di più!» e via dicendo fino al conclusivo «Buona notte tesoro, a domani.»
Poco più avanti altro cerbiatto ed altra telefonata simile alle precedenti.
Siamo quasi arrivati. Svoltiamo a destra al bivio in cui qualche giorno primo abbiamo avvistato il mini market, quindi vuol dire che ci siamo. La signorina del navigatore però, vuole stupirci ed anziché guidarci diretta tra le vie della città, propone una scorciatoia e ci fa arrivare Dio solo sa come a Lenti. Poco male, così abbiamo il modo di poter vedere con i nostri occhi la Movida della cittadina. Fantastico: abbiamo incrociato un piccolo autocarro ed una macchina della polizia a controllare il traffico. Facciamo un giro e ci ripresentiamo al bivio con il mini market. La signorina ci invita a svoltare sulla “ambarabbaicciccocò utca” questa volta correttamente.
Stiamo per arrivare al ben noto ristorante bianco, quando un bellissimo cinghiale ci attraversa la strada. Il bestione di stazza non inferiore al quintale si muove lentamente. Si gira verso di noi guardandoci con fare superiore, come se stesse attraversando sulle strisce pedonali e poi, come tutti gli animali che lo hanno preceduto s’infila nella macchia.
Sandro cava di tasca il cellulare e chiama ancora.
«Cavoli! Non ci crederesti, abbiamo incontrato un cinghiale!»
«Vaffanculo! Mi fai dormire o no?»
«Scusa. No questa telefonata non è venuta bene. Metti giù che ti richiamo.»
Sandro prova e riprova, ma non riesce più riprendere la linea.
Alla fine, dopo un giro fuori programma e dopo un’innumerevole di svolte sulle “chissachecazzostodicendo utca” la signorina del navigatore ci riporta sulla retta via. Non appena ci appare il cartello che indica l’Abbazia, la signorina da un’altra indicazione al nostro fiero guidatore:
«Uscire di strada sulla destra.»
Il Cagno prende alla lettera l’indicazione e manca clamorosamente il viottolo che porta al parcheggio e s’infila nel prato. Il nostro abile pilota però, non si scompone: tira il freno a mano della poderosa ed in un impressionante stridere di pneumatici compie un 360 gradi ed in controsterzo riesce a rimettere le ruote motrici sullo sterrato ed a portarci in salvo nel parcheggio. Peccato che non ci fosse nessuno a vedere la sua manovra, altrimenti avrebbe ricevuto la giusta dose d’applausi. Forse, qualcuno gli avrebbe anche chiesto un autografo.
Scendiamo a sgranchirci le gambe nel parcheggio. C’è un cielo stellato impressionante. Miriadi di stelle, illuminano un cielo nero in uno spettacolo che ci obbliga a rimanere con il naso all’insù.
«È molto sereno. Domani dovrebbe essere una bella giornata.»
«L’ultima volta che ho visto un cielo stellato così, è stato a Diano Marina. Ti ricordi Eros?»
«Sì! Il giorno dopo ha piovuto da mattina a sera.» La seconda profezia.

Il viaggio di ritorno, animali avvistati e telefonate di Sandro a parte, il Cagno, forse per esorcizzare la stanchezza o più semplicemente perché lui è fatto così, ha continuato con “quattro nostri connazionali etc… Adesso, sostiene che la foresta che stiamo attraversando sia l’ambientazione naturale per un film di Dracula, nel quale i quattro connazionali occupano il posto dell’attricetta di turno. A nulla serve fargli notare che il conte Vlad ha tutt’altra origine e che la Transilvania dista qualche trilione di chilometri. Ormai il click è partito. L’idea che il mahatma di tutti i vampiri può essere lì nascosto nel bosco, lo affascina e ne acuisce la fantasia. La fervida immaginazione del guidatore, racconta di un ipotetico film ispirato alla saga del principe della notte che in ogni modo possibile riesce ad approfittare dei malcapitati connazionali dell’Emilio nazionale.
Naturalmente, nella pellicola che stava girando nel cervelletto del Cagno, Dracula non si sarebbe limitato a darci dei bacini sia pur con i denti sul collo. No, prima e dopo il bacio profondo avrebbe di sicuro abusato delle vittime nei modi più biechi ed inimmaginabili. Il suo personalissimo porno-cult movie, a questo punto non avrebbe potuto scorrere fino ai titoli di coda senza che la massima autorità in fatto di porno potesse aggiungere il suo commento. Così, compaiono particolari non secondari riguardo i metodi e le maniere con le quali il conte ci avrebbe sopraffatto. Con sempre la faccia contrita Fede a commentare: quattro nostri connazionali, sono rimasti vittime di un increscioso incidente in territorio ungherese…»
Secondo il Cagno, il vampiro avrebbe attaccato in qualsiasi momento. Materializzandosi in mezzo ai sedili posteriori della poderosa. Aspettandoci al varco ben nascosto tra gli alberi, con la collaborazione di qualche cerbiatto, il conte ci avrebbe fatto fermare l’auto tra i boschi. Oppure, ancora che una volta arrivati a destinazione asseriva che questo sarebbe saltato semplicemente fuori dal bagagliaio o addirittura che si sarebbe nascosto sotto la tavoletta del water per approfittare del primo che si sarebbe seduto.
“E pensare che i nostri quattro si sarebbero anche potuti salvare.” Continua nel suo servizio al Tg4 l’amato direttore: “Sarebbe bastato un po’ di quell’aglio che avevano comprato per preparare gli spaghetti aglio olio e peperoncino. Purtroppo per una tragica fatalità, tutto l’aglio era stato consumato dal Culattone, che, per ovviare ad un suo problema di pressione arteriosa lo aveva tritato e spalmato sul pane…”
Così, mentre si spegnevano le ultime battute sul modo con il quale a turno, il pizzaiolo, il mafioso, il puttaniere ed il fantasticante culattacchione venivano sopraffatti, conosciuti biblicamente ed azzannati alla giugulare dal dentuto protagonista del film. siamo giunti a destinazione. Guardiamo il cielo e ci avviamo alla nostra casa. Ci aspettano, l’immancabile gatto nero che ci omaggia della sua presenza e sul lampione una falena da primo premio alla fiera delle farfalle notturne. Guardandola bene sembra quasi un vero vampiro.
La notte però, nonostante l’ora notevolmente tarda era ancora giovane. E mentre anche la fantasia del Cagno comincia a smettere di forgiare nuove scene per il suo film, il televisore finisce per caso su MTV. Nulla a che vedere con il famoso network musicale, si trattava invece di MTV tedesca, una televisione sulla quale sono trasmessi gli show più idioti ed incredibili che un occhio umano abbia mai potuto vedere. Roba che al confronto il grande fratello e Amici della De Filippi fanno un figurone. E noi? Potevamo forse perderceli? Certo che no.
Il primo programma chiamato “Canadian Invasion” metteva in luce l’addestramento di un manipolo di er… coglioni americani, pronti ad invadere il paese confinante o forse a resistere ad un’eventuale invasione. Questo non è dato saperlo, ma le prove cui si sottoponevano la dicevano lunga sullo spessore e la tempra degli uomini. Imprese eroiche da non poco: un militante che a cinque sei metri da una tigre, si mette a correre prima che questa liberata dalla gabbia abbia l’occasione di mordicchiarlo un pochino. (una tigre sicuramente drogata o quanto meno vegetariana, altrimenti ne avrebbe fatto un sol boccone, o forse alle tigri i coglioni piacciono solo trifolati.
Un altro invece stava sopra un palo ad aspettare che un carro armato lo prendesse a cannonate e con il lanciafiamme. Tutto contento, il sopravvissuto mostrava poi alla televisione il fondoschiena completamente bruciato con le vesciche sulle chiappe. Altra perla era quella donata da un graduato, probabilmente il capo dell’allegra brigata. Legato, con la sola testa che emergeva da un foro in un tavolo, il militare attendeva che enormi elastici tesi all’inverosimile lo colpissero in pieno volto. Dopo ogni colpo, con la faccia rosso porpora ed i segni delle frustate, a tutti quelli che gli proponevano di desistere e di farsi liberare, urlava «Next.»
Il meglio però, lo dava l’ultimo coraggioso idiota. Il quale, con le mani legate dietro la schiena, in mutande ed a gambe aperte, rimaneva ad aspettare che i compagni gli tirassero ogni tipo di palla, dal golf al bowling, esattamente lì dove state pensando. Riceveva senza quasi battere ciglio mazzate incredibili sui testicoli alternando smorfie di dolore a sorrisi particolarmente idioti.
Quando credevamo di avere visto il peggio, ecco un nuovo programma. Questa volta quattro ragazzi ed una donna alla mercé di un santone posticcio, (sembrava Giovanni nell’interpretazione del “cosmo sul comò”) che ordinava loro di sottoporsi alle prove più stupide immaginabili. La presenza della donna, sicuramente molto attraente aveva attizzato il nostro interesse. Pensavamo, vista anche la fascia oraria che come minimo il Santone avrebbe chiesto al quartetto d’ingropparsela davanti alle telecamere. Niente di tutto questo. I quattro infilando la mano in una scatola dovevano estrarre una pallina: chi beccava la nera doveva sottoporsi alla prova richiesta dal santone.
Prima prova. Passare la lingua su una tavola imbandita con ogni genere di schifezza: dal fango, ai mozziconi di sigaretta, vernice, gesso e poi deglutire con la lingua ancora infestata.
Seconda prova, altro ragazzo. Il fortunato prescelto doveva sottoporsi ad una serie di sculacciate con palette di legno e racchette da tennis.
Terza prova, ancora un ragazzo. Legato ad un palo il malcapitato avrebbe dovuto ricevere sulla nuda pelle del petto degli elastici ottenuti dalle camere d’aria di un TIR tese in maniera impressionante. Ai soci ed alla fiamma di una candela, il compito di bruciare lo spago che teneva tesi gli elastici e di liberare la frustata.
Quarta prova altro ragazzo. Seduto e legato ad una sedia senza il fondo, al malcapitato veniva applicata in zona sedere una bottiglia di plastica. La bottiglia veniva riempita con acqua e poi sparata a pressioni folli fino a quando era fatta esplodere vicino alle parti sacre del giovane.
Quinta prova, finalmente era lei a beccare la pallina nera. Delusione: invece dell’agognato stupro di gruppo, che forse lei stessa avrebbe preferito, le veniva applicata una maschera antigas. Al posto del filtro vi era un tubo con un tappo. A turno i quattro compari erano invitati a bere delle nefandezze fortemente gassate ed a digerire rumorosamente nel tubo. In quel modo la donna era costretta a respirare le fetide esalazioni degli amici.
Prova finale. I quattro avrebbero dovuto passarsi una pallina da ping pong aiutandosi solo con la bocca. Passandosela l’un l’altro mentre una macchina li avrebbe infastiditi tirando delle corde assicurate a parti del loro corpo. I testicoli per i quattro uomini ed i capezzoli per la donna. Prova fallita… e finalmente tutti a dormire.

i diari di nemesnep 3

Budapest

Arriviamo a Budapest nelle prime ore del pomeriggio. Abbiamo appena raccolto Sandro e questo dovrebbe aiutarci a fare morale, ma in realtà il maltempo che continua ad accompagnarci comincia a rompere le scatole. In pratica piove ininterrottamente dal momento in cui siamo usciti dall’autostrada e qua, dove solo una settimana prima c’erano 31 gradi adesso si fatica a superare la decina. Chiedo ad un edicolante se vendono una cartina stradale e questo meravigliato per la richiesta mi risponde che le ha finite. Gli chiedo se conosce un posto dove comprarla, ma questo con la simpatia che ha contraddistinto buona parte dei magiari incontrati fin ora alza le spalle e scuote la testa. Dieci metri più lontano, c’è la fermata del metrò e troviamo la cartina grazie ad una giovane meno scontrosa.
Dici Sandro e leggi tecnologia. Infatti, non appena arrivato mette in moto il suo ufficio e chiede ad una preziosa collaboratrice di trovarci una collocazione in albergo. La collega, alquanto divertita nel saperci a Budapest sotto l’acqua ed al freddo ridendo assicura il suo aiuto proponendoci almeno un paio di sistemazioni. Poi, però, riusciamo a fare da noi e ci sistemiamo in un hotel del centro decisamente non male facente parte della catena alberghiera IBIS.
La divisione delle camera tiene conto della volontà di Rosino e del Cagno di riuscire a dormire senza nessuno che russa. Così loro due prendono la prima camera ed a me e Sandro capita la seconda. Il mio compagno ha subito un’idea delle sue. Per riuscire a svilupparla però è necessario impossessarsi di una delle loro due chiavi. Un gioco da ragazzi per due filibustieri come noi.
Poi, con una scusa banale riusciamo a lasciarli ad aspettare nell’hall, mentre noi saliamo e freghiamo dalla loro camera tutto quello che è possibile portare via, rifacendo anche il letto in modo che al loro ritorno possano avere il dubbio di avere sbagliato porta.
Usciamo, se prima il tempo era brutto, ora è addirittura vomitevole. Non più di 10 °C, acqua a secchiate e folate di vento gelido, che rischiano di portarci via gli ombrelli. Rosino fa notare che non abbiamo ancora pranzato e che sono le quattro del pomeriggio. Riusciamo a raggiungere la riva del Danubio ed a vedere i palazzi di Buda sull’altra sponda. Guardando il fiume è difficile capire se ci sia più acqua lì dentro o sulle strade della città. Tra l’altro nel punto dove siamo noi c’è una via molto trafficata sulla quale le macchine sfrecciano a velocità folli, impensabili per una città. Anche lo spostamento di aria e di acqua dovuto al loro passaggio non giova alla nostra condizione di derelitti umidi. Poi bagnati come pulcini finalmente incrociamo un ristorante che nonostante l’ora è aperto. Entriamo rimandando a più tardi la visita della città. Mentre attendiamo che ci sia servito quanto chiesto Sandro riceve una telefonata dal suo ufficio e sentiamo distintamente le risate della sua collega divertita dalla nostra sfiga cosmica.
Niente da fare. All’uscita dopo il buon pasto, notiamo che il tempo è se possibile ancora peggiorato.
Adesso è davvero difficile riuscire a camminare sotto l’acqua battente perché il vento forte le fa cambiare continuamente la direzione. Ho i pantaloni bagnati fino al ginocchio, le scarpe completamente fradice e soprattutto non ho portato ricambio da Nemesnep. Sandro mi tranquillizza: «Non preoccuparti ti presto i miei pantaloni di pelle per stasera.»
I suoi pantaloni di pelle. Che ipotesi aberrante.
Dopo molte peripezie, visto che avevo con me si la cartina della città, ma non gli occhiali riusciamo in qualche maniera a ritrovare la via dell’albergo. Naturalmente Sandro imponeva di chiedere informazioni solo a donne e soprattutto giovani ragazze. Proprio tra quelle che conoscevano meno la città.
Mentre ci stiamo avvicinando all’albergo però, io e Sandrone cominciamo a lavorarci i due colleghi.
«Che giornata di merda! Andiamo a controllare se ci hanno fregato la macchina, mancherebbe solo questo ormai.» O ancora:
«Ascolta me, vai giù e togli la radio dalla macchina che non mi sembra tanto sicuro il parcheggio dell’hotel.»
«Si se ci fregano il navigatore come ci ritorniamo a Nemesnep.»
«Tranquilli il navigatore non l’ho lasciato in macchina è su in camera.» Risponde sicuro di se Rosino.
«Meno male.» Replico io fingendo di sentirmi un po’ meglio.
Saliamo in camera e ci salutiamo fissando l’appuntamento per le otto e trenta. Sandro ed Io chiudiamo la porta e ci mettiamo a contare: «entro il tre arrivano!»
Passano invece alcuni minuti. Tanto che tutti e due facciamo in tempo a metterci in libertà, prima che il fatidico toc toc richiami la nostra attenzione.
«Nessuna Master Card potrebbe pagare la visione della faccia di Daniele.
«Oh, ci hanno ciulato tutto.» Ci dice con una faccia che da sola varrebbe come pubblicità per un’agenzia di pompe funebri.
«Ma non dire cazzate!» Sbotto io fingendo di non prenderlo sul serio. Sandro fa anche peggio, lo spinge fuori dalla camera sostenendo che è nudo e che deve fare la doccia.
«No, sono serio, ci hanno portato via le borse il navigatore di Eros e… siete stati voi!» Accusa subito dopo come risvegliandosi da un brutto sogno. Con l’arrivo Di Eros il duo fa irruzione in Camera e facilmente trova tutto quello che gli era stato sottratto. È durato poco ma è stato lo stesso bello.
Riusciamo. Fa un freddo becco, ma almeno non piove più. Camminiamo fino al Danubio. Lo spettacolo è bellissimo: Buda vista di sera è molto affascinante e le sue costruzioni sono magistralmente illuminate e messe in risalto. Prendo il telefonino per scattare qualche foto, ma tira un vento così forte che risulta difficile mantenere ferma la mano. Provo a spostarmi più avanti sul ponte, ma il vento mi sposta letteralmente rischiando di farmi perdere l’equilibrio. È la prima volta da quando ho l’uso della ragione che mi capita di sentirmi così leggero da essere in balia dei venti. Dovrebbe essere una sensazione esaltante, invece mi fa incazzare ancora di più. Il vento è forte ed è soprattutto gelido, abbastanza da scoraggiare chiunque, figurarsi la nostra truppa.
Visto che di attraversare non se ne parla, propongo di andare a vedere almeno il ponte verde che si vede sulla sinistra.
«Sei matto, è lontano.» Sbotta Eros.
L’unico modo per riuscire ad arrivarci è partire per raggiungerlo. Percorriamo la Vaci Utca la via più malfamata di Budapest, dove papponi, finte mignotte ed autentici figli di puttana sono sempre alla caccia di polli da spennare. Mancherebbe solo quello. In particolare su internet si possono trovare racconti di italiani finiti vittima di questi loschi individui e ridotti sul lastrico. Molti malcapitati assicurano che su questa via agiscono degli italiani: Mario lo scopatore coadiuvato da Antonio il trombatore abilissimi a proporre visite in night club praticamente gratuiti. La storia finisce sempre allo stesso modo: finiti nel locale ci sono delle ragazze che t’invitano a bere e gorilla pronti a spaccarti la faccia se decidi di non pagare sei settecento euro per una bottiglia di spumante, spacciate per Don Perignon del ‘64. Altri raccontano, che su questa via è facile essere adescati da ragazze bellissime che si avvicinano con la scusa di chiedere una sigaretta e che poi con un italiano stentato invitano a seguirle in un locale. Si tratta di un’alternativa più lusinghiera rispetto alle promesse di Mario e Antonio, ma che ha lo stesso amaro finale. C’è poi Maria la mignotta che non appena ode parlare italiano si avvicina e propone il suo locale: «Ci sono otto ragazze otto solo per voi con le tette al vento.»
La nostra sfiga si taglia già a fette e non crediamo d’avere bisogno d’altre dimostrazioni. Anche perché, sarebbe difficile altrimenti sentire poi ridere la collega di Sandro. Ci raduniamo e ci parliamo chiaro: «Tutti uniti e se qualcuno ci avvicina tiriamo diritto.»
«Il tempo fa così schifo che Mario e Antonio stasera saranno rimasti in casa vicino alla stufa.»
Il ponte verde è molto bello e porta dall’altra parte della città che è davvero invitante faccio un altro tentativo di andare di là, ma è davvero difficile e poi sono sicuro che nessuno mi seguirebbe.
Decidiamo di tornare. Fa troppo freddo.
«Non rifacciamo la stessa strada. Se tagliamo di qua, su questa via che è quasi parallela, arriviamo sulla via principale (la Razocky), ed in meno di dieci minuti siamo in albergo.» Oh, a sentirlo parlare così, Sandro sembra veramente capire qualcosa di strade e vie. Gli diamo retta.
Dopo una camminata di mezz’ora zigzagando per la città quasi deserta, cominciano i primi cedimenti. Daniele ed Eros si fermano vicino ad una panchina abbastanza asciutta da poterci appoggiare il sedere. Del resto stiamo camminando da più di un’ora e mezza e nel pomeriggio non ci siamo certo riposati.
«Dai che vado avanti fino alla fine dell’isolato per vedere quanto manca all’hotel.» Propongo io.
Raggiungo l’incrocio e resto di stucco. Non finiamo sulla Razocky, ma sulla Vaci Utca. Proprio vicino al ponte bianco, da cui eravamo partiti. Non so se incazzarmi e sacramentare ad alta voce come una parte di me vorrebbe, o se mettermi a ridere pensando una volta di più alla sicurezza con cui Sandro aveva spiegato come raggiungere l’hotel. Scelgo la seconda.
Attraversiamo a fatica la strada sfidando gli improvvisati Schumacher che la percorrono. Dall’altra parte continua la Vaci Utca. Quella vera, quella dei racconti su internet.
Sandro ribadisce, qualora ce ne fosse bisogno il concetto di un’oretta prima: «Chiunque ci avvicini, dobbiamo rimanere uniti e proseguire senza mai separarci.» Poi mi chiede se preferisco dare a lui il coltellino che tengo in tasca. E chi si ricordava più di averlo quel temperino.
Proseguiamo per non più di cinquanta metri ed avvistiamo due belle ragazze. Bionde, alte e slanciate che sembrano modelle appena uscite da un servizio di moda.
«Guardale là!» Dico ad Eros che mi cammina a destra. Infatti, le due avvicinano Daniele che memore delle raccomandazioni di Sandro immediatamente si ferma.
«Hai una sigaretta!»
«Oh, come no!» Risponde educatamente cercando in tasca il pacchetto ed offrendone una a testa alle giovani meretrici, mentre Sandro si affianca.
«Oh, siete italiani?»
«Certo»
«Che ne dite di andare a mangiare qualcosa insieme?»
Eros ed io per un momento temiamo che, la vista di tanta bellezza offuschi le menti dei nostri amici e che li convincano a seguirli in chissà quale avventura. Stoicamente i due respingono l’invito e ci raggiungono.
«Pensa se fosse vero che tu cammini per la strada e che le ragazze e che ragazze, ti facciano quelle proposte.» Fa notare Daniele.
Gli rispondiamo che quello che volevano da lui, come sarebbe stato per chiunque di noi era solo riuscire a mettere la mano sui nostri soldi.
«Italiani?! Non v’interessa un bel locale con otto belle ragazze seminude solo per voi?»
Impossibile sbagliarsi! Avevamo incontrato Maria la mignotta in assetto di caccia. La donna minuta ma notevolmente carina nonostante l’età non più giovanissima, non ha moltissimo da invidiare alle due ragazze incontrate in precedenza e nemmeno alla coppia che più avanti sembrava essere lì apposta per noi.
«NO!»
«Ma non vi ho neppure spiegato come è il locale e quello che ci troverete.»
«No, non c’interessa siamo gay!»
«Ma…» cerca di obiettare lei, quando Sandro che vuole sempre strafare, allontanandosi le dice:
«Non è serata! Lascia perdere siamo dell’interpool.»

La giornata di merda ha la sua degna conclusione più tardi, quando seduto davanti a niente di meno di un cheseburger da McDonald. Del resto avendo pranzato alle cinque la fame era quella che era. Meglio però, non andare a dormire a digiuno, con il rischio di svegliarsi affamati durante la notte. Sandro si ferma ad un baracchino a comperare alcune pesche dicendo che gli conciliano il sonno. Una mezza dozzina, potranno bastare.
MTV sta trasmettendo uno strano film dove l’attrice protagonista è una bionda tettuta esagerata che, se colpita alla testa va in trance e sogna di tornare con un seno rigorosamente scoperto di dimensioni più umane. Riesco a vedere solo qualche scena, mentre il mio compagno di camera cominciando a sezionare le pesche comincia la procedura d’addormentamento. Crollo, stanco per la giornata poco esaltante e di sicuro molto stancante.
Sogno di essere a Roma, in una bella giornata di sole. Una di quelle in cui, è così sereno che non si riesce a rimanere senza gli occhiali da sole ed anche se non fai nulla ti ritrovi a sudare per il gran caldo estivo. Sono anche io molto sereno ed ho ancora molte cose da visitare prima che faccia buio.
Tutto è bello quando un botto tremendo sconquassa tutto facendomi sobbalzare
“Il Gianicolo! Credevo fosse più tardi…” Penso nel mio sogno.
Apro gli occhi ed è ancora buio… Non era mezzogiorno. Non si era Roma e non era neppure il cannone del Gianicolo. Si trattava del segnale orario delle cinque e un quarto, emesso direttamente con mezzi propri (sarebbe più giusto definire impropri) dal mio compagno di stanza.
«Oh la Madonna!» Riesco ad esclamare svegliandomi e riprendendomi dal sogno svanito è proprio il caso di dire di botto.
«Deve essere per colpa della pelle delle pesche!» Si giustifica lui.
«Vabbè, cerchiamo di dormire che è prestissimo.»
Lui annuisce e poi comincia a parlare del più e del meno. Mi racconta delle sue storie, dei nostri compagni al di là del muro. Mi dice dei suoi progetti, del ristorante, bar o topless bar che vorrebbe aprire nella casa in cui abita. Smette di parlare, quando ormai filtra un po’ di luce dalle tende. Mi alzo e guardo fuori: è grigio. Ma è sempre grigio in Ungheria al mattino presto. In ogni caso, non piove. È molto presto, possiamo dormire almeno un paio d’ore ancora prima di alzarci. Torno a letto ed adesso Sandro sembra essersi deciso a riprendere a dormire. Si è voltato di lato e mi da le spalle. Ha i boxer a mezz’altezza e buona parte del “Gianicolo” è scoperta e rivolta verso di me. Un’immagine inquietante. Inquietante, quanto basta a togliermi il sonno.
Usciamo verso le nove e mezza. C’era stata una mezza intenzione di provare a rimanere un altro giorno a Budapest, poi quando guardando dalla finestra vediamo alcune persone camminare con l’ombrello aperto, decidiamo di lasciare perdere. Quando usciamo dal box con la macchina il cielo è grigio, fa freddo, ma almeno non piove più.
«Andiamo almeno a vedere l’altra parte della città in macchina…» Azzardo io.
«Sì, ma prima dobbiamo trovare un posto per fare la colazione.» Sbotta immediatamente Eros.
Attraversiamo finalmente il ponte sul Danubio ed arriviamo a Buda. Cercando un parcheggio finiamo vicino all’ingresso della cittadella. Rosino ed Io scendiamo e ci addentriamo tra le sue mura. Ci sono alcuni palazzi in stile ed un paio di monumenti, ma fa freddo e l’attenzione del mio compagno è solo rivolta alla spasmodica ricerca di un bar con delle brioches. Troviamo un paio di ristoranti molto belli ed un palazzo che a mio avviso potrebbe essere la sede del parlamento, ma non c’è tempo da perdere. Torniamo alla macchina e ci avviamo verso il Danubio. Mentre la solita amabile collega di Sandro sta ridendo come una matta per la nostra condizione di sfigati, scorgiamo un centro commerciale. La nostra meta. Lasciamo la macchina in una zona con parchimetro.
«Un’ora basta ed avanza per la colazione! Non mettere di più.»
Dopo il cappuccino e la fetta di torta, è già ora di tornare alla macchina. Ci blocca una ragazza, una delle poche che ci ha dato retta e che parla inglese. Lei si presenta, mi racconta che è originaria di Israele e che è lì per vendere dei prodotti di bellezza. Mi prende la mano per lavorare sulle mie unghie. Non riesce a trattenere un «Oh, my God!» quando vede lo stato poca cura che riservo alle mie mani. Alla fine del trattamento però, l’unghia dove ha lavorato brilla ed è di sicuro più bella delle sue nove compagne. Eros riceve lo stesso trattamento. L’esca è buttata. Compriamo tutti la confezione miracolosa per le unghie delle nostre mogli o amiche.
La ragazza, poco attraente ma loquace e simpatica racconta di essere nata ad El Elyat, una città moderna a nord di Tel Aviv. Quando le racconto di essere stato per un po’ di tempo in Israele, le si illuminano gli occhi e non smette più di parlare. Vuole sapere dove abito, che lavoro faccio, per quale motivo sono stato nel suo paese… e poi, per la serie “Va a ca e va in lech!” mi chiede se in Italia ho un figlio da farle conoscere. Dopo avere contribuito a farmi sentire ancora un po’ più vecchio ed a guardarsi bene dal risollevare il mio morale, dai bassifondi della mia anima, la salutiamo e ci avviamo alla macchina. Siamo fortunati! Yuuu Huuu. Non abbiamo trovato sul parabrezza la multa.
Saliamo a bordo e Budapest è già storia. Abbiamo visto poco o niente. Il tempaccio infame e la nostra scarsa propensione al sacrificio, non ci hanno permesso di visitare la città che invece per il poco che abbiamo potuto notare deve essere bellissima. La cittadella, il mercato delle pulci, il ponte delle catene, Buda, li vedremo un’altra volta. Speriamo.

i diari di nemesnep 2

la partenza

La partenza.
Si è dormito poco. Il venerdì Santo, che per noi a differenza dei cattolici cade sul calendario non due giorni prima della Pasqua, ma ogni quinto giorno della settimana, è stato onorato anche questa volta. Per molti, certamente più religiosi o quanto meno legati a vecchie tradizioni, il venerdì rappresenta un giorno di magro. Da questo è nato il detto “Venerdì… pesce!» Per noi, di sicuro meno pii e meno profondi, vale il detto «Venerdì carte!»
Per questo motivo si è giocato anche il giorno prima della partenza. Un po’ meno del solito, non lo nego, ma almeno fino alla mezzanotte, si è rimasti alla “ultima spiaggia” a giocare con gli amici e si è timbrata la presenza.
Qualche ora prima ci si era dedicati agli ultimi preparativi: la spesa al gigante, per comprare i generi di prima necessità. Quelli da portare con noi per prevenire qualsiasi disguido. Anche in caso di negozi chiusi o di sciopero dei ristoranti, almeno qualche piatto di pasta e qualche birra, ci sarebbe stata. Abbiamo recuperato la macchina del Cagno dal concessionario che l’ha tagliandata e resa abile arruolata per il viaggio, quindi abbiamo cominciato a mettere le valige nel bagagliaio.
Ernesto che Guevara, quando decise con il fido amico Granado, di affrontare un avventuroso viaggio lungo l’America Latina, aveva soprannominato il suo mezzo di trasporto: “La poderosa.”
Il viaggio, reso celebre dai suoi “diari della motocicletta,” si sarebbe snodato tra Argentina, Cile, Perù e Venezuela per una lunghezza di 13000 Km. La “poderosa” altro non era che una vecchia Norton 500 che, come ci raccontano i diari del Che esalò il suo ultimo respiro prima di arrivare alla meta. Ok, non mi sento il Che, non intendo percorrere 13.000 km, ma lasciatemi almeno chiamare “la poderosa” l’Alfa Romeo che ci accompagnerà in quest’avventura. Speriamo che nel suo spirito d’emulazione, la nostra auto non decida di lasciarci a piedi in terra magiara.

Mi alzo prima che la sveglia faccia il suo dovere. In un attimo sono pronto. Mi metto in tasca gli occhiali da sole: non voglio rischiare di dimenticarmeli. Raccolgo lo zainetto con le ultime cose ed esco sul balcone. Quasi subito, all’inizio della via prende forma la sagoma familiare della poderosa.
Il suo colore argenteo si confonde un po’ con il grigio del cielo. Ma sono le sei ed un quarto ed a quest’ora il cielo è sempre di questo colore… e poi, di cosa lamentarsi se il Cagno è in perfetto orario. Devo essere davvero molto stanco, anche perché non ho dormito quasi nulla, infatti, non ho correlato subito le condizioni meteorologiche non esaltanti con l’inattesa puntualità dell’amico. C’è un detto inglese che definisce la mia condizione “too much bed without sleeping enough.” Ovviamente gli inglesi lo usano quando uno non ha dormito abbastanza, perché ha avuto altro da fare tra le lenzuola. Ma non è proprio il mio caso. Sono rimasto sdraiato, ma non ho dormito e basta.
Il tempo fuori è quello che è, ma il morale è alto. Ci vuole ben altro per scalfire la corazza di buon umore che ci protegge. Mentre viaggiamo verso la nostra destinazione, inizia la sequenza di dischi portati apposta per il viaggio, così i vari Celentano, Dik Dik, Camaleonti & Co. ci accompagnano alternandosi a rallegrare l’abitacolo della poderosa. Arriva anche il turno dei mitici Alunni del Sole con la loro Liù, e con il ritornello rivisitato in: “Liù ma perché non ce la dai più, brutta troia che sei tu.” E chi ci ammazza a noi?!
Qualcuno avanza la necessità di dover fare una sosta breve per andare in bagno, ma Rosino è abbastanza categorico al riguardo:
«Prima passiamo Venezia. Poi potremo fare una sosta.»
Non ha tutti i torti. Tutti ci hanno raccomandato di partire presto, perché al casello di Mestre sicuramente ci aspetterà una coda di almeno due tre chilometri, e noi non vorremmo fare la fine di quegli sventurati cinesi bloccati nel traffico. Il telegiornale ha trasmesso le immagini agghiaccianti di un’autostrada cinese, bloccata da una coda di almeno cento chilometri. Nel servizio auspicavano che ci sarebbero voluti circa un paio di mesi prima di sbloccare la situazione e di permettere agli sfortunati di ritornare a casa. Non abbiamo così tanto tempo a disposizione.
Quando arriviamo all’uscita di San Donà del Piave, viene un primo dubbio che poi guardando tra le destinazioni Jesolo diviene certezza: non un chilometro di coda, abbiamo passato già Venezia e soprattutto niente casello di Mestre. Potenza delle nuove autostrade e del governo (non l’attuale, quello è impegnato a cercare di varare leggi pro premier, ma se risolveranno anche i problemi sulle tangenziali di Milano, credo che potrei votare per loro.
Il pipì stop avviene dopo Trieste. Io ed Eros approfittiamo della sosta per munirci di una cartina dell’Ungheria e per comperare il kit di pronto soccorso che sembrerebbe essere obbligatorio per chi ha intenzione di guidare in terra magiara. Non abbiamo dimenticato, da buoni previdenti, neppure la “vignetta” necessaria per viaggiare in autostrada.
Varchiamo il confine con la Slovenia. Che differenza con gli anni in cui facevo lo stesso per lavoro e per arrivare a Lubiana. Allora c’erano dei doganieri con i modi bruschi e scortesi che ti smontavano l’automobile e che volevano vedere di che colore portavi le mutande prima di farti passare. Ora, capiamo di essere in Slovenia solo perché ad un certo punto della strada compare il cartello dell’UE con tutte le stelline e con la sigla SLO al centro. Beh, sono passati quasi venti anni e questa è la potenza dell’Europa Unita. In compenso noto con dispiacere che mentre allora il carburante costava circa la metà rispetto all’Italia, adesso è addirittura leggermente più caro.
Il grigio del cielo adesso è virato su un più preoccupante plumbeo e qualche goccia… beh, un po’ più di qualche goccia, diciamo qualche miliardo di gocce s’infrange sul parabrezza. Questo però, non intacca la nostra corazza di buon umore. Qualche chilometro dopo Lubiana anzi, quando notiamo che nella corsia opposta c’è una coda spaventosa, riusciamo ad ironizzare sui tempi di percorrenza di quei poveri sfigati, costretti a procedere a passo d’uomo mentre noi camminiamo spediti verso la nostra meta.
La signorina del navigatore, nostra compagna d’avventura, ci raccomanda di proseguire diritti. Sui foglio stampati con l’itinerario estrapolato dalle mappe di google però, c’è scritto di prenderci una pausa. Prendiamo in parola il consiglio e ci fermiamo per mangiare. Ci si ferma in un autogrill sloveno. Uno di quelli con la A maiuscola, uno di quelli dove puoi trovare tutto, persino il pane. Non ci sono pasta e lasagne, ma stoicamente Rosino, incurante del fatto che si possono gustare solo delle specialità teutoniche si butta su una pietanza locale. Le salsicce con i crauti sono mangiabili, non eccezionali di sicuro ma di sicuro commestibili.
Breve pausa nel parcheggio, dove il freddo e l’acqua non ci fanno mancare la loro presenza. Ma a noi che ci frega? Mancano ancora più di cento chilometri a Nemesnep, e poi questa è ancora Slovenia: fredda e triste, non vorrai mica paragonarla con l’Ungheria ed i trentuno gradi di Budapest.
Tutti in macchina si riparte. La signorina del navigatore, evidentemente incazzata perché non è stata invitata a mangiare, ma anche perché nessuno le ha portato nulla dal bar dell’autogrill pensa bene di concedersi una piccola vendetta. Quando giungiamo a Maribor, anziché farci proseguire sull’autostrada “della pioggia” (del sole neanche a parlarne), come la logica avrebbe voluto, pensa bene di farci fare un’escursione per le vie ed i semafori della periferia. Ci fa perdere una ventina di minuti per fare uno strano percorso tra rotonde e semaforo per riprendere poco più avanti la stessa autostrada. In pratica, invece che lasciarci continuare sulla retta via, ci confonde le idee per farci rimettere in carreggiata circa un chilometro dopo.
«Almeno abbiamo visto Maribor!» Commentiamo. È proprio vero, quando l’ottimismo viaggia al tuo fianco anche un cielo nero, può sembrare limpido e sereno.
L’ottimismo, comincia a vacillare qualche tempo dopo. Complice un po’ di stanchezza, un po’ il maltempo che non ci ha regalato un solo raggio di sole in più di settecento chilometri si comincia a ridere di meno. Sappiamo che Nemesnep è un paesino un poco isolato, ma qua, adesso che ci stiamo avvicinando sembra di stare attraversando la Foresta Nera.
Rosino con un'abile mossa gioca la carta Pupo, inserendo nell’autoradio un disco della Rock Star Italiana, ed, infatti, “gelato al cioccolato” e “Firenze Santa Maria Novella risuonano liete nel nostro abitacolo. Lo spirito però non è più lo stesso.
Definire i paesi dell’alta Slovenia tristi non è esatto. Infatti, a tutti gli effetti, questi non sembrano neppure esistere. È come se Dio, dopo una cena avesse deciso di scuotere la tovaglia sulla terra, e le briciole di pane che sono cadute si siano trasformate in case. Una qua, una più in là e l’altra in ordine sparso ancora più lontano. È sabato pomeriggio: dalle nostre parti si fatica a trovare un parcheggio per la macchina… qua al contrario, è senza dubbio più difficile trovare una macchina da parcheggiare. Manca poco a Dubrovnik. No, tranquilli, non ha nulla a che fare con la Dubrovnik sul mare, perla della Croazia famosissima per le sue mura di cinta costruite dalle sapienti mani dei veneziani. Qua siamo in Slovenia ed il paese omonimo è lo stesso segnalato sulla cartina come una cittadina di tutto rispetto. Ne abbiamo parlato e dedotto che Dubrovnik è una valida alternativa a Nemesnep, qualora quest’ultima si dovesse rivelare poco vivace. Ristoranti, negozi e locali notturni lì non mancheranno di certo. Infatti, subito dopo avere oltrepassato il cartello con il nome dell’amena località, incrociamo un paio di auto e si vedono finalmente alcune case ravvicinate tra loro. Di gente però, neppure l’ombra. Proseguendo troviamo una casa rurale sulla sinistra, dove nel giardino riusciamo a scorgere alcune simpatiche pecorelle… di plastica ed un paio di cucce per cani desolatamente vuote. Più avanti nel centro del centro… disabitato troviamo un succedaneo di piazza con tanto di chiesa e tre quattro case dispostele intorno. Credo che il nostro amico Stephen King avrebbe potuto trarre chissà quale ispirazione se fosse stato con noi sulla macchina. Magari avrebbe potuto scrivere un “desperation 2 la vendetta” oppure “il paese degli zombi invisibili.”
Proseguendo nel deserto edificato, sotto l’algida direzione della nostra guida navigatore ci approssimiamo a lasciare la piccola metropoli slovena. Proseguiamo per Kobijle, l’ultimo paese prima di sconfinare in terra magiara. Troviamo ancora qualche casetta isolata e un trattore arrugginito, lasciato a trascorrere la sua meritata pensione, in balia degli agenti atmosferici, ed altre cucce rigorosamente vuote ed abbandonate.



«Oh possiamo dire che non c’è in giro neanche un cane.» Sbotta qualcuno.
Io azzardo una teoria secondo la quale, i cani mancano in quanto morti suicidi. I poveretti afflitti da tristezza e depressione si sono buttati uno alla volta sotto le ruote delle macchine che talvolta hanno la malaugurata idea di addentrarsi in questi luoghi dimenticati da Dio. Metto in stato di allerta, infatti, il nostro autista pregandolo di moltiplicare la sua prudenza ed attenzione nel percorrere queste strade. Non vorrei che fosse rimasto qualche ultimo disperato aspirante suicida canino.
Un cartello con la scritta “CUSTOM Km 1” ci avvisa che il confine e la dogana sono ormai ad un passo. Questa visione rallegra un po’ l’ambiente: primo perché Nemesnep ed in particolare l’Abbazia Country Club sorgono subito dopo il confine e quindi vuole dire che ci siamo. Secondo, dopo un viaggio praticamente solitario, l’idea di poter incontrare qualcuno che ci parla, sia pure un doganiere magiaro non fa completamente schifo. Tanto, se anche volessero controllare documenti e auto, noi sappiamo di essere in regola e di non avere scheletri nel nostro armadio. Siamo puliti come angeli e siamo anche in perfetto orario sulla tabella di marcia, quindi, che controllino pure.

(la linea gialla segna il confine tra Ungheria e Slovenia. Le prime case sulla sinistra della strada son la nostra meta)

Arriviamo alla dogana. Almeno sarebbe meglio scrivere arriviamo dove un tempo c’era una dogana. Adesso ci sono una costruzione fatiscente sulla sinistra, una tettoia arrugginita e dall’aspetto pericolante. Niente guardia di finanza, niente militari, neppure un residuato di quello che fu il glorioso impero austro ungarico… c’è solo un cartello blu con le stelline gialle ad avvertirci che siamo arrivati in Ungheria. Così non vale! È troppo facile così.
Guardo i miei compagni di avventura. Non c’è più nessun sorriso sui loro volti che sembrano abbastanza stanchi e delusi. L’autista in particolare, probabilmente provato dal lungo viaggio, sembra il più depresso del gruppo. Vedendo intorno a se solo alberi e niente più si lascia andare ad una profezia:
«Che posto! Adesso manca solo che si metta a piovere quando dobbiamo scaricare la macchina.»
Ha, infatti, smesso di piovere da quando ci siamo lasciati alle spalle Maribor, e anche se il tempo è ben lungi dall’essere migliorato almeno non dobbiamo usare il tergicristallo da almeno tre quarti d’ora. Della serie basta chiedere per essere esauditi, non appena scorgiamo sulla sinistra il cartello che indica la nostra agognata meta, uno scroscio d'acqua colpisce il parabrezza. Quando arriviamo nel parcheggio del nostro agriturismo, piove a secchiate. Daniele, ferma la Poderosa vicino al deposito delle biciclette, quindi scendiamo e corriamo sotto la sua tettoia per ripararci.


Altro che T-shirt e costumi da bagno. Immediatamente dal baule della macchina saltano fuori maglioni, giubbetti ed ombrelli.
L’Abbazia Country Club, sarà anche ubicata in un posto che definire, scusate la volgarità, nel buco del culo del mondo è un’esagerazione, per difetto, ma in ogni caso conserva molto fascino. C’è una bella piscina, delle sedie a sdraio disposte per catturare il sole, casette in stile molto graziose e tanto, ma proprio tanto verde. Girando intorno al piccolo deposito di bici, scorgo due cose molto importanti: un bagno dove poter finalmente dare libero sfogo ad uno dei più elementari stimoli. Che volete, l’età è ormai quella che è e freddo e pioggia non hanno fatto altro che acuire le mie necessità fisiologiche. Trovo poi, appollaiato su di una pila di lettini da spiaggia messi al riparo dalla pioggia, un bellissimo gatto nero mi sta osservando curioso. Il primo essere vivente non vegetale visto dall’ingresso in Ungheria. Questi si lascia teneramente accarezzare guardandomi con il sorriso sotto i baffi. Mentre lo accarezzo gli parlo e gli confesso che potremmo quasi consideraci parenti, visto che con noi c’è Eros il gran visir di tutti i Gatti. Per tutta risposta il micio si alza in piedi, si stiracchia, solleva la coda rispondendo alle mie effusioni e poi con uno scatto se ne va.
Nella reception del centro un serio impiegato dall’inglese improbabile ci spiega qualcosa, poi finalmente ci consegna le chiavi del nostro appartamento. La casa è bellina ma ovviamente è la più lontana possibile dal parcheggio. Ci si lava per portare bagagli, borse e suppellettili dal baule della poderosa alla nostra nuova dimora. Il gatto nero di poco prima torna a farsi vivo e non perde occasione per attraversarci la strada sul vialetto.
Da quest’istante, in perfetta coincidenza con l’inizio delle nostre brevi ferie, finisce la pace per gli altri clienti dell’agriturismo.
«Dove cazzo lo metto il dentifricio?» Grida uno al compagno ancora impegnato ad affrontare il diluvio sul vialetto, con le borse e le valigie ancora tra le mani.
«Avete visto le mie sigarette?» Ribadisce Daniele con la voce preoccupata di chi teme di averle perdute e di andare incontro ad una crisi di astinenza. Rimanere senza sigarette, nel vuoto più totale potrebbe essergli fatale.
«Le avrai in tasca le tue sigarette!» Gli rispondiamo sperando di avere indovinato.
Movimentando il grigio silenzio della bella località al confine tra Ungheria e Slovenia, ed a pochi chilometri dal bordo di Croazia ed Austria, prendiamo sempre più possesso di quella che per una settimana diverrà la nostra casa. Riempiamo subito tutti gli spazi disponibili con quello che abbiamo portato con noi. Accendiamo il frigorifero e mettiamo in fresco le nostre birre, la bibita che abbiamo comperato ed il latte. Eros poi, si preoccupa di stipare nella dispensa la pasta, i sughi pronti e tutte le altre cose. Degna particolare attenzione a riporre nel pensile della cucina l’olio d’oliva ed i due barattoli con ben segnato “Sale” e “Zucchero:” meglio non correre il rischio di scambiarli.
Ci accorgiamo di non aver pensato a comperare anche acqua da bere. Oddio, di acqua n’è caduta tanta dal cielo, sicuramente anche troppa, specie dopo la prima profezia del Cagno. In ogni caso, averne un paio di bottiglie in fresco non sarebbe male.
Ci vestiamo come meglio possiamo tenendo conto che la temperatura attuale è circa una ventina di gradi meno di quando siamo partiti, e torniamo alla poderosa. Usciamo dal parcheggio ed andiamo ad esplorare Nemesnep.
Nel mio immaginario, avevo pensato a Nemesnep come ad un tranquillo vecchio borgo di confine.
Uno di quelli dove il pavé di porfido o di pietra ha preso il posto dell’asfalto e dove la main street attraversa il centro abitato. Una strada principale con almeno un paio di panetterie, qualche negozietto di articoli alimentari una merceria ed almeno tre quattro bar dove poter sorseggiare una birra e magari mangiare qualcosa in compagnia della gente del posto. Di sicuro, i due panettieri avrebbero fatto di tutto per vincere la concorrenza dell’altro ed offrire agli avventori il pane più buono e croccante di tutta l’Ungheria. Avremmo poi potuto, la sera fare un giretto su questa via, cercando il negozietto più adatto a fare qualche buon acquisto. Mi piaceva pensare, che su questa via fossero ancora appesi i festoni per la festa del patrono avvenuta la settimana precedente, o le bandierine colorate ad avvisare l’imminente fiera con le bancarelle, le caramelle e tutto il resto. Oppure, che fossero lì a ricordare che la domenica seguente, ci sarebbe stata la festa della birra con ettolitri della bionda bevanda pronti solo da bere. Insomma, pensavo ad un’allegra contrada dove passare qualche ora.
È vero che guardando il paese tramite le immagini satellitari di Google heart e dando un’occhiata alle fotografie inserite in internet, tutte queste cose non le si erano viste. Ad essere sincero non avevo visto nulla di quello che mi sarei immaginato di trovare a Nemesnep. Ma tant’è! Io sono un sognatore. Sono uno che vede le cose a modo suo, almeno fino a quando la realtà lo mette con le spalle al muro. Infatti, quando arriviamo a quello che dovrebbe essere il centro del paese, o almeno quello che qualcuno riesce a considerare tale, cade ogni mia illusione. Non c’è il pavé, ma una strettissima striscia di asfalto dove due macchine contemporaneamente faticherebbero a transitare.
Non vedo negozi, nessuna bandierina colorata, solo una stranissima costruzione con una tettoia che ricorda un imbuto capovolto, che ricordo di avere visto tra le immagini su google.


Riconosco proseguendo la casa bianca con un camion militare fermo da qualche decennio probabilmente a fare da rifugio alle galline, il ponte tibetano realizzato con un vecchio tronco appoggiato sulle due sponde del ruscello. Poco altro. Troviamo tre persone intente a parlare tra loro nel “centro.”



Ci spostiamo nella periferia di quel “meedle of no where” e troviamo un edificio bianco già visto tra le foto su internet. Lo stesso che ieri avevamo pensato che potesse essere un ristorante, ma che in mancanza di scritte avrebbe potuto essere tranquillamente un ospizio, un ospedale per mucche o qualsiasi altra cosa. Anche la più impensabile. La foto, aveva la descrizione in magiaro strettissimo così avevamo potuto solo dedurre che avrebbe potuto essere un ristorante, ma che senso ha aprire un locale simile in una landa così desolata? L’istinto da viaggiatore non mi aveva tradito: infatti, girando intorno all’edificio abbiamo scorto la cucina all’aperto ed alcuni tavolini sotto il pergolato. C’era anche una lavagna con scritto il menù tipico del locale. Peccato davvero di non sapere decifrare la lingua ungherese. C’è anche un ampio parcheggio a testimoniare che la persona che ha deciso di aprire quest’attività in paese, sicuramente in fatto di ottimismo, potrebbe dare tre o quattro giri di pista al celeberrimo Gianni della Uni Euro. Sì! Proprio quello “dell’ottimismo è il sale della vita.”


Fuori da quello che ora sappiamo con certezza essere un ristorante, c’è una ragazzina. Probabilmente figlia dell’ottimista padrone del sito, ci da retta. Parla benissimo inglese e questa sarebbe già una rarità, ma la vera chicca è che la giovane è la prima persona cortese che incrociamo. Fino ad ora i pochi ungheresi che abbiamo avvicinato sono stati di uno scortese distacco da sfiorare l’antipatia.
Purtroppo cortese sì, ma non foriera di buone notizie. Ci dice subito che i nostri dubbi su Nemesnep sono più che giustificati: non c’è nessun negozio e se si eccettua il ristorante che abbiamo di fronte, e quello della casa madre all’Abbazia, non c’è altro. Ci indica poi la strada per raggiungere il paese vicino dove si può trovare un minimarket ed un bar.
Seguiamo le sue indicazioni e seguendo la strada asfaltata che sembra una ferita mal rimarginata tra gli alberi ed i boschi per qualche chilometro, prima di arrivare ad un nuovo nugolo di case. Qui scorgiamo subito il minimarket che però data l’ora, è già chiuso. Ci avviciniamo e scopriamo che lo sarà anche per tutto il giorno seguente.
«E come facciamo per le sigarette?» Mormora il Cagno, sul cui volto ricompare la crisi di astinenza imminente.
La tentazione di dirgli “cazzi tuoi!” è grande. Ma l’amicizia riesce a prevalere dove l’istinto animale a volte rischia di avere il sopravvento. Entriamo nel piccolo bar ed incontriamo un’altra giovane donna dietro il banco (gli ungheresi hanno capito tutto, fanno lavorare le donne). La ragazza parla solo magiaro e qualche parola di tedesco, perciò non è facile riuscire a farci capire ed a comprendere quello che cerca di spiegarci. A fatica ordiniamo da bere e riusciamo a farci portare anche qualche bottiglietta d’acqua minerale. Quando sempre con un grande sforzo le chiediamo che cosa c’è nelle vicinanze e se non c’è un posto dove poter comperare generi alimentari, la risposta è sempre Lenti.
«Dove comprare il pane?» risposta «Lenti»
«Dove le sigarette?» risposta «Lenti»
Comprendiamo dopo qualche minuto che Lenti è davvero una località nella zona. Lei tutta contenta per essere stata compresa ci spiega che in quella ridente città di frontiera, si può trovare di tutto; ristoranti, bar, super market, Dancing. Anche questa ragazza che all’inizio è sembrata un po’ sulle sue, dimostra poi di essere meno musona e ben disposta al dialogo. Nonostante la differenza di idioma. Ci fosse stato con noi Sandro, di sicuro non avrebbe esitato a chiederle di venire con noi in città per andare a ballare.
«Non c’è proprio un cazzo in questo posto!» esclama il Cagno, rimettendosi al volante della poderosa e svoltando a destra per seguire le istruzioni della barista. Eros intanto inserisce nel navigatore il nome della nuova località da raggiungere, e immediatamente la signorina del navigatore dall’aria contenta per essere stata riesumata dopo qualche ora ci consiglia di proseguire diritto sulla “noncihocapitouncazzo utca”. Tutte le strade che ci suggerisce per quanto poi risultino corrette sono quasi incomprensibili e seguite da un utca che dovrebbe stare per via.
Incrocio gli occhi nello specchietto con il guidatore e noto che oltre alla stanchezza c’è tanta delusione. Così cerco di infondergli un po’ di coraggio:
«dai che non c’è problema! Il tempo fa schifo, il posto è un po’ isolato…»
«Un po’ isolato?! C’è più compagnia nel Sahara!» m’interrompe lui.
«Lascia stare. Lì fa caldo e si suda troppo. È vero il destino coi sta giocando dei brutti scherzi, ma noi… noi possiamo contrattaccare. Abbiamo una bella carta da giocare Sandrone!»
Non ci giurerei, ma dopo questa mia affermazione mi è sembrato di vedergli i lucciconi agli occhi. Non so per l’emozione di avergli ricordato il fatto che il quarto amico ci raggiungerà, di lì a poco, o se per qualche altro motivo non legato all’emozione.
In ogni caso, pur non apparendo completamente convinto dalla mia affermazione, mette la freccia e svolta a destra come consigliato dalla saccente signorina che lo ha invitato a svoltare sulla “checazzoavràdetto utca.”
Lenti non è certo Milano, non è neppure Monza, né Vimercate. È anzi molto più simile a Peregallo che ad Arcore. Ma vale il detto che in un gruppo di ciechi, un orbo pure se miope, è un re.
Nella nostra casa non manca proprio nulla. C’è la televisione con tutti canali rigorosamente in lingua straniera, un frigorifero digitale (nel senso che ha due posizioni 0 temperatura quasi ambiente e 1 al limite della congelazione). C’è poi una bellissima piastra a due fuochi per cucinare. Due fuochi è davvero una parola grossa. Nel senso che le piastre sono elettriche e prive di ogni spiegazione sui comandi. Se è vero che non ci dovrebbe volere una laurea in astrofisica o in missilistica, per farla funzionare, è pur vero che, per fare bollire l’acqua per la pasta, non ci possono volere una quarantina di minuti. Rosino, sprezzante della sua fama di chef appena scalfita dal suo celeberrimo piatti di spaghetti alla bottarga e zucchero, prende in mano la situazione. La critica si è un po’ accanita su di lui per quell’esperimento non andato completamente a buon segno, ma in ogni maniera i semplici rigatoni alla bolognese preparati si possono tranquillamente ingerire senza rischi collaterali. Ringraziamo la Star per i suoi sughi pronti che ha reso più semplice la realizzazione.
Dopo cena facciamo un breve sopralluogo nell’Abbazia. Non è davvero male adesso che non piove più. Cerco di convincere il Cagno a non essere così negativo, perché il posto che è sembrato bello con la pioggia chissà come dovrà essere alla luce del sole. Vediamo poi che le case che nel pomeriggio erano quasi completamente vuote si sono riempite: c’è il pienone all’Abbazia Country Club.
«Chissà, domani ci converrebbe svegliarci presto o rischiamo di non trovare più una sdraio vicino alla piscina.»
Dopo la mia frase, non capisco perché, lui si è allontanato, ed è rientrato in casa. Rimango da solo e mi avvicino alle scuderie. I cavalli mi hanno sempre affascinato. C’è un cartello con le solite scritte incomprensibili, ma in fondo leggo una cosa che non mi piace. Weight limit 85 kg. Comprendo che il peso massimo consentito per cavalcare gli equini è 85 chili. Faccio un attimo mente locare poi mormoro tra me, scuotendo lentamente la testa in segno di disapprovazione:
«Cazzo sono appena appena fuori.» Quindi niente giretto a cavallo. Vabbè, che sarà mai? Mi avvicino alle stalle e vedo il primo esemplare che sta mangiando la sua razione di fieno con la testa chinata. Non mi degna di uno sguardo, ma muove nervosamente la coda. Il secondo invece è molto più disponibile, anzi azzarda pure un sorriso equino che mette in mostra la sua possente dentatura. Ha le labbra arricciate all’indietro in una smorfia che ricorda quella di un delfino. Lo trovo così simpatico che mi avvicino per accarezzarlo, quando sono a circa un metro da lui un sesto senso mi suggerisce di allontanarmi. L’animale vomita per terra. Evidentemente oltre a medium, mamme, ed a certi play boy, anche gli sfigati possiedono un sesto senso. Non avevo mai visto un cavallo vomitare, anzi qualcuno mi ha anche assicurato che un cavallo non può vomitare, e che lo fa solo se sta morendo. A me sembra in perfetta forma, con gli occhietti da pazzo belli lucidi, ma giuro che a me è successo di vederlo rimettere.


(Vomitino, il cavallo fantasma)

In ogni caso, non mi sembra un gesto di buon auspicio e decido di rincasare anch’io. Prima di rientrare noto che sulla seggiola davanti alla porta d’ingresso, ha preso posto il gatto nero. Ha scelto una casa a caso, per omaggiarla della sua presenza.
Il Cagno ha indosso un bel pigiamo blu che lo rende addirittura elegante, Rosino invece ha indosso un completo nero: canottiera e boxer un po’ stile Freddy Mercury. È un po’ inquietante doversi coricare nel lettone matrimoniale con lui in quel completo, ma ho anche io il mio asso nella manica: un pigiama con stampato sul petto, lo stemma dell’Inter. Per lui questo logo ha lo stesso potere che l’aglio ha per il più incallito dei vampiri.
La notte scorre via tranquilla… per me che ho dormito mentre il mio russare sembra (ne sono certo) ha condizionato non poco il loro sonno.