lunedì 27 settembre 2010

i diari di nemesnep 3

Budapest

Arriviamo a Budapest nelle prime ore del pomeriggio. Abbiamo appena raccolto Sandro e questo dovrebbe aiutarci a fare morale, ma in realtà il maltempo che continua ad accompagnarci comincia a rompere le scatole. In pratica piove ininterrottamente dal momento in cui siamo usciti dall’autostrada e qua, dove solo una settimana prima c’erano 31 gradi adesso si fatica a superare la decina. Chiedo ad un edicolante se vendono una cartina stradale e questo meravigliato per la richiesta mi risponde che le ha finite. Gli chiedo se conosce un posto dove comprarla, ma questo con la simpatia che ha contraddistinto buona parte dei magiari incontrati fin ora alza le spalle e scuote la testa. Dieci metri più lontano, c’è la fermata del metrò e troviamo la cartina grazie ad una giovane meno scontrosa.
Dici Sandro e leggi tecnologia. Infatti, non appena arrivato mette in moto il suo ufficio e chiede ad una preziosa collaboratrice di trovarci una collocazione in albergo. La collega, alquanto divertita nel saperci a Budapest sotto l’acqua ed al freddo ridendo assicura il suo aiuto proponendoci almeno un paio di sistemazioni. Poi, però, riusciamo a fare da noi e ci sistemiamo in un hotel del centro decisamente non male facente parte della catena alberghiera IBIS.
La divisione delle camera tiene conto della volontà di Rosino e del Cagno di riuscire a dormire senza nessuno che russa. Così loro due prendono la prima camera ed a me e Sandro capita la seconda. Il mio compagno ha subito un’idea delle sue. Per riuscire a svilupparla però è necessario impossessarsi di una delle loro due chiavi. Un gioco da ragazzi per due filibustieri come noi.
Poi, con una scusa banale riusciamo a lasciarli ad aspettare nell’hall, mentre noi saliamo e freghiamo dalla loro camera tutto quello che è possibile portare via, rifacendo anche il letto in modo che al loro ritorno possano avere il dubbio di avere sbagliato porta.
Usciamo, se prima il tempo era brutto, ora è addirittura vomitevole. Non più di 10 °C, acqua a secchiate e folate di vento gelido, che rischiano di portarci via gli ombrelli. Rosino fa notare che non abbiamo ancora pranzato e che sono le quattro del pomeriggio. Riusciamo a raggiungere la riva del Danubio ed a vedere i palazzi di Buda sull’altra sponda. Guardando il fiume è difficile capire se ci sia più acqua lì dentro o sulle strade della città. Tra l’altro nel punto dove siamo noi c’è una via molto trafficata sulla quale le macchine sfrecciano a velocità folli, impensabili per una città. Anche lo spostamento di aria e di acqua dovuto al loro passaggio non giova alla nostra condizione di derelitti umidi. Poi bagnati come pulcini finalmente incrociamo un ristorante che nonostante l’ora è aperto. Entriamo rimandando a più tardi la visita della città. Mentre attendiamo che ci sia servito quanto chiesto Sandro riceve una telefonata dal suo ufficio e sentiamo distintamente le risate della sua collega divertita dalla nostra sfiga cosmica.
Niente da fare. All’uscita dopo il buon pasto, notiamo che il tempo è se possibile ancora peggiorato.
Adesso è davvero difficile riuscire a camminare sotto l’acqua battente perché il vento forte le fa cambiare continuamente la direzione. Ho i pantaloni bagnati fino al ginocchio, le scarpe completamente fradice e soprattutto non ho portato ricambio da Nemesnep. Sandro mi tranquillizza: «Non preoccuparti ti presto i miei pantaloni di pelle per stasera.»
I suoi pantaloni di pelle. Che ipotesi aberrante.
Dopo molte peripezie, visto che avevo con me si la cartina della città, ma non gli occhiali riusciamo in qualche maniera a ritrovare la via dell’albergo. Naturalmente Sandro imponeva di chiedere informazioni solo a donne e soprattutto giovani ragazze. Proprio tra quelle che conoscevano meno la città.
Mentre ci stiamo avvicinando all’albergo però, io e Sandrone cominciamo a lavorarci i due colleghi.
«Che giornata di merda! Andiamo a controllare se ci hanno fregato la macchina, mancherebbe solo questo ormai.» O ancora:
«Ascolta me, vai giù e togli la radio dalla macchina che non mi sembra tanto sicuro il parcheggio dell’hotel.»
«Si se ci fregano il navigatore come ci ritorniamo a Nemesnep.»
«Tranquilli il navigatore non l’ho lasciato in macchina è su in camera.» Risponde sicuro di se Rosino.
«Meno male.» Replico io fingendo di sentirmi un po’ meglio.
Saliamo in camera e ci salutiamo fissando l’appuntamento per le otto e trenta. Sandro ed Io chiudiamo la porta e ci mettiamo a contare: «entro il tre arrivano!»
Passano invece alcuni minuti. Tanto che tutti e due facciamo in tempo a metterci in libertà, prima che il fatidico toc toc richiami la nostra attenzione.
«Nessuna Master Card potrebbe pagare la visione della faccia di Daniele.
«Oh, ci hanno ciulato tutto.» Ci dice con una faccia che da sola varrebbe come pubblicità per un’agenzia di pompe funebri.
«Ma non dire cazzate!» Sbotto io fingendo di non prenderlo sul serio. Sandro fa anche peggio, lo spinge fuori dalla camera sostenendo che è nudo e che deve fare la doccia.
«No, sono serio, ci hanno portato via le borse il navigatore di Eros e… siete stati voi!» Accusa subito dopo come risvegliandosi da un brutto sogno. Con l’arrivo Di Eros il duo fa irruzione in Camera e facilmente trova tutto quello che gli era stato sottratto. È durato poco ma è stato lo stesso bello.
Riusciamo. Fa un freddo becco, ma almeno non piove più. Camminiamo fino al Danubio. Lo spettacolo è bellissimo: Buda vista di sera è molto affascinante e le sue costruzioni sono magistralmente illuminate e messe in risalto. Prendo il telefonino per scattare qualche foto, ma tira un vento così forte che risulta difficile mantenere ferma la mano. Provo a spostarmi più avanti sul ponte, ma il vento mi sposta letteralmente rischiando di farmi perdere l’equilibrio. È la prima volta da quando ho l’uso della ragione che mi capita di sentirmi così leggero da essere in balia dei venti. Dovrebbe essere una sensazione esaltante, invece mi fa incazzare ancora di più. Il vento è forte ed è soprattutto gelido, abbastanza da scoraggiare chiunque, figurarsi la nostra truppa.
Visto che di attraversare non se ne parla, propongo di andare a vedere almeno il ponte verde che si vede sulla sinistra.
«Sei matto, è lontano.» Sbotta Eros.
L’unico modo per riuscire ad arrivarci è partire per raggiungerlo. Percorriamo la Vaci Utca la via più malfamata di Budapest, dove papponi, finte mignotte ed autentici figli di puttana sono sempre alla caccia di polli da spennare. Mancherebbe solo quello. In particolare su internet si possono trovare racconti di italiani finiti vittima di questi loschi individui e ridotti sul lastrico. Molti malcapitati assicurano che su questa via agiscono degli italiani: Mario lo scopatore coadiuvato da Antonio il trombatore abilissimi a proporre visite in night club praticamente gratuiti. La storia finisce sempre allo stesso modo: finiti nel locale ci sono delle ragazze che t’invitano a bere e gorilla pronti a spaccarti la faccia se decidi di non pagare sei settecento euro per una bottiglia di spumante, spacciate per Don Perignon del ‘64. Altri raccontano, che su questa via è facile essere adescati da ragazze bellissime che si avvicinano con la scusa di chiedere una sigaretta e che poi con un italiano stentato invitano a seguirle in un locale. Si tratta di un’alternativa più lusinghiera rispetto alle promesse di Mario e Antonio, ma che ha lo stesso amaro finale. C’è poi Maria la mignotta che non appena ode parlare italiano si avvicina e propone il suo locale: «Ci sono otto ragazze otto solo per voi con le tette al vento.»
La nostra sfiga si taglia già a fette e non crediamo d’avere bisogno d’altre dimostrazioni. Anche perché, sarebbe difficile altrimenti sentire poi ridere la collega di Sandro. Ci raduniamo e ci parliamo chiaro: «Tutti uniti e se qualcuno ci avvicina tiriamo diritto.»
«Il tempo fa così schifo che Mario e Antonio stasera saranno rimasti in casa vicino alla stufa.»
Il ponte verde è molto bello e porta dall’altra parte della città che è davvero invitante faccio un altro tentativo di andare di là, ma è davvero difficile e poi sono sicuro che nessuno mi seguirebbe.
Decidiamo di tornare. Fa troppo freddo.
«Non rifacciamo la stessa strada. Se tagliamo di qua, su questa via che è quasi parallela, arriviamo sulla via principale (la Razocky), ed in meno di dieci minuti siamo in albergo.» Oh, a sentirlo parlare così, Sandro sembra veramente capire qualcosa di strade e vie. Gli diamo retta.
Dopo una camminata di mezz’ora zigzagando per la città quasi deserta, cominciano i primi cedimenti. Daniele ed Eros si fermano vicino ad una panchina abbastanza asciutta da poterci appoggiare il sedere. Del resto stiamo camminando da più di un’ora e mezza e nel pomeriggio non ci siamo certo riposati.
«Dai che vado avanti fino alla fine dell’isolato per vedere quanto manca all’hotel.» Propongo io.
Raggiungo l’incrocio e resto di stucco. Non finiamo sulla Razocky, ma sulla Vaci Utca. Proprio vicino al ponte bianco, da cui eravamo partiti. Non so se incazzarmi e sacramentare ad alta voce come una parte di me vorrebbe, o se mettermi a ridere pensando una volta di più alla sicurezza con cui Sandro aveva spiegato come raggiungere l’hotel. Scelgo la seconda.
Attraversiamo a fatica la strada sfidando gli improvvisati Schumacher che la percorrono. Dall’altra parte continua la Vaci Utca. Quella vera, quella dei racconti su internet.
Sandro ribadisce, qualora ce ne fosse bisogno il concetto di un’oretta prima: «Chiunque ci avvicini, dobbiamo rimanere uniti e proseguire senza mai separarci.» Poi mi chiede se preferisco dare a lui il coltellino che tengo in tasca. E chi si ricordava più di averlo quel temperino.
Proseguiamo per non più di cinquanta metri ed avvistiamo due belle ragazze. Bionde, alte e slanciate che sembrano modelle appena uscite da un servizio di moda.
«Guardale là!» Dico ad Eros che mi cammina a destra. Infatti, le due avvicinano Daniele che memore delle raccomandazioni di Sandro immediatamente si ferma.
«Hai una sigaretta!»
«Oh, come no!» Risponde educatamente cercando in tasca il pacchetto ed offrendone una a testa alle giovani meretrici, mentre Sandro si affianca.
«Oh, siete italiani?»
«Certo»
«Che ne dite di andare a mangiare qualcosa insieme?»
Eros ed io per un momento temiamo che, la vista di tanta bellezza offuschi le menti dei nostri amici e che li convincano a seguirli in chissà quale avventura. Stoicamente i due respingono l’invito e ci raggiungono.
«Pensa se fosse vero che tu cammini per la strada e che le ragazze e che ragazze, ti facciano quelle proposte.» Fa notare Daniele.
Gli rispondiamo che quello che volevano da lui, come sarebbe stato per chiunque di noi era solo riuscire a mettere la mano sui nostri soldi.
«Italiani?! Non v’interessa un bel locale con otto belle ragazze seminude solo per voi?»
Impossibile sbagliarsi! Avevamo incontrato Maria la mignotta in assetto di caccia. La donna minuta ma notevolmente carina nonostante l’età non più giovanissima, non ha moltissimo da invidiare alle due ragazze incontrate in precedenza e nemmeno alla coppia che più avanti sembrava essere lì apposta per noi.
«NO!»
«Ma non vi ho neppure spiegato come è il locale e quello che ci troverete.»
«No, non c’interessa siamo gay!»
«Ma…» cerca di obiettare lei, quando Sandro che vuole sempre strafare, allontanandosi le dice:
«Non è serata! Lascia perdere siamo dell’interpool.»

La giornata di merda ha la sua degna conclusione più tardi, quando seduto davanti a niente di meno di un cheseburger da McDonald. Del resto avendo pranzato alle cinque la fame era quella che era. Meglio però, non andare a dormire a digiuno, con il rischio di svegliarsi affamati durante la notte. Sandro si ferma ad un baracchino a comperare alcune pesche dicendo che gli conciliano il sonno. Una mezza dozzina, potranno bastare.
MTV sta trasmettendo uno strano film dove l’attrice protagonista è una bionda tettuta esagerata che, se colpita alla testa va in trance e sogna di tornare con un seno rigorosamente scoperto di dimensioni più umane. Riesco a vedere solo qualche scena, mentre il mio compagno di camera cominciando a sezionare le pesche comincia la procedura d’addormentamento. Crollo, stanco per la giornata poco esaltante e di sicuro molto stancante.
Sogno di essere a Roma, in una bella giornata di sole. Una di quelle in cui, è così sereno che non si riesce a rimanere senza gli occhiali da sole ed anche se non fai nulla ti ritrovi a sudare per il gran caldo estivo. Sono anche io molto sereno ed ho ancora molte cose da visitare prima che faccia buio.
Tutto è bello quando un botto tremendo sconquassa tutto facendomi sobbalzare
“Il Gianicolo! Credevo fosse più tardi…” Penso nel mio sogno.
Apro gli occhi ed è ancora buio… Non era mezzogiorno. Non si era Roma e non era neppure il cannone del Gianicolo. Si trattava del segnale orario delle cinque e un quarto, emesso direttamente con mezzi propri (sarebbe più giusto definire impropri) dal mio compagno di stanza.
«Oh la Madonna!» Riesco ad esclamare svegliandomi e riprendendomi dal sogno svanito è proprio il caso di dire di botto.
«Deve essere per colpa della pelle delle pesche!» Si giustifica lui.
«Vabbè, cerchiamo di dormire che è prestissimo.»
Lui annuisce e poi comincia a parlare del più e del meno. Mi racconta delle sue storie, dei nostri compagni al di là del muro. Mi dice dei suoi progetti, del ristorante, bar o topless bar che vorrebbe aprire nella casa in cui abita. Smette di parlare, quando ormai filtra un po’ di luce dalle tende. Mi alzo e guardo fuori: è grigio. Ma è sempre grigio in Ungheria al mattino presto. In ogni caso, non piove. È molto presto, possiamo dormire almeno un paio d’ore ancora prima di alzarci. Torno a letto ed adesso Sandro sembra essersi deciso a riprendere a dormire. Si è voltato di lato e mi da le spalle. Ha i boxer a mezz’altezza e buona parte del “Gianicolo” è scoperta e rivolta verso di me. Un’immagine inquietante. Inquietante, quanto basta a togliermi il sonno.
Usciamo verso le nove e mezza. C’era stata una mezza intenzione di provare a rimanere un altro giorno a Budapest, poi quando guardando dalla finestra vediamo alcune persone camminare con l’ombrello aperto, decidiamo di lasciare perdere. Quando usciamo dal box con la macchina il cielo è grigio, fa freddo, ma almeno non piove più.
«Andiamo almeno a vedere l’altra parte della città in macchina…» Azzardo io.
«Sì, ma prima dobbiamo trovare un posto per fare la colazione.» Sbotta immediatamente Eros.
Attraversiamo finalmente il ponte sul Danubio ed arriviamo a Buda. Cercando un parcheggio finiamo vicino all’ingresso della cittadella. Rosino ed Io scendiamo e ci addentriamo tra le sue mura. Ci sono alcuni palazzi in stile ed un paio di monumenti, ma fa freddo e l’attenzione del mio compagno è solo rivolta alla spasmodica ricerca di un bar con delle brioches. Troviamo un paio di ristoranti molto belli ed un palazzo che a mio avviso potrebbe essere la sede del parlamento, ma non c’è tempo da perdere. Torniamo alla macchina e ci avviamo verso il Danubio. Mentre la solita amabile collega di Sandro sta ridendo come una matta per la nostra condizione di sfigati, scorgiamo un centro commerciale. La nostra meta. Lasciamo la macchina in una zona con parchimetro.
«Un’ora basta ed avanza per la colazione! Non mettere di più.»
Dopo il cappuccino e la fetta di torta, è già ora di tornare alla macchina. Ci blocca una ragazza, una delle poche che ci ha dato retta e che parla inglese. Lei si presenta, mi racconta che è originaria di Israele e che è lì per vendere dei prodotti di bellezza. Mi prende la mano per lavorare sulle mie unghie. Non riesce a trattenere un «Oh, my God!» quando vede lo stato poca cura che riservo alle mie mani. Alla fine del trattamento però, l’unghia dove ha lavorato brilla ed è di sicuro più bella delle sue nove compagne. Eros riceve lo stesso trattamento. L’esca è buttata. Compriamo tutti la confezione miracolosa per le unghie delle nostre mogli o amiche.
La ragazza, poco attraente ma loquace e simpatica racconta di essere nata ad El Elyat, una città moderna a nord di Tel Aviv. Quando le racconto di essere stato per un po’ di tempo in Israele, le si illuminano gli occhi e non smette più di parlare. Vuole sapere dove abito, che lavoro faccio, per quale motivo sono stato nel suo paese… e poi, per la serie “Va a ca e va in lech!” mi chiede se in Italia ho un figlio da farle conoscere. Dopo avere contribuito a farmi sentire ancora un po’ più vecchio ed a guardarsi bene dal risollevare il mio morale, dai bassifondi della mia anima, la salutiamo e ci avviamo alla macchina. Siamo fortunati! Yuuu Huuu. Non abbiamo trovato sul parabrezza la multa.
Saliamo a bordo e Budapest è già storia. Abbiamo visto poco o niente. Il tempaccio infame e la nostra scarsa propensione al sacrificio, non ci hanno permesso di visitare la città che invece per il poco che abbiamo potuto notare deve essere bellissima. La cittadella, il mercato delle pulci, il ponte delle catene, Buda, li vedremo un’altra volta. Speriamo.

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