Sandro era arrivato in terra magiara carico come una molla. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere con noi. Appena arrivato, aveva iniziato la sua opera di PR tampinando ogni esemplare femminile avesse avuto la sfortuna di incrociarlo. Come minimo un “Ciao” con sorriso a trentadue denti lo aveva dedicato a tutte. Aveva fermato solo giovani ragazze, per chiedere informazioni e non aveva perso nessun’occasione per essere galante a modo suo. In tarda serata, un po’ per il protrarsi delle pessime condizioni atmosferiche ed un po’ perché noi lo prendevamo in giro aveva perso un po’ della sua verve. Tanto che adesso se salutava qualcuna di quelle che incontrava non mancava di puntualizzare:
«Ciao! No sex!»
Persino vicino all’albergo, ad una professionista che lo aveva avvicinato, aveva recitato come da nuovo copione:
«No sex!»
La mattina, dopo la telefonata della sua collega, si era ammosciato un pochino ancora, ma poi chiacchierando si era ripreso e stava ritornando quello del giorno precedente.
Arriviamo al lago Balaton nel primo pomeriggio. C’è un vento fortissimo ma almeno c’è il sole.
Siofok, considerata la Rimini dell’Ungheria, tradisce un po’ le attese. Ci sono le spiagge e ci sono molti locali e negozi, ma sicuramente nulla a che vedere con la città romagnola. Ad ogni modo, dopo la desolazione di Nemesnep e dopo il fiasco di Budapest, non si può che apprezzare.
Ci sono delle onde sul lago, che non fanno certo rimpiangere quelle del mare.

Non c’è molta gente nel parcheggio dove siamo fermi, decidiamo di scendere ed incrociamo le statue di due vogatori con tanto di remo che sembrano guardarci. Le battezziamo subito “Testa” e “Di Cazzo.”

Le spiagge non devono essere brutte e di sicuro le acque del lago devono essere balneabili, non fosse per la bora che imperversa, magari si potrebbe mettersi in costume. Ma non c’è tempo: è ora di pranzo e bisogna cercare un ristorante; c’è qualcuno non transige.
Risaliamo verso il centro della piccola città. Ci sono molti negozi e parecchi posti dove poter mandare giù un boccone, ma dopo il Mac di ieri notte e la colazione di questa mattina diamo atto che ci vorrebbe un bel ristorante. Dopo aver incrociato un night club rigorosamente chiuso, proseguiamo parallelamente alla riva del lago su una via dove ci sono ogni genere di bancarelle e di souvenir. Andiamo abbastanza di fretta, per osservare con attenzione la merce in vendita, ma di sicuro volendo si potrebbero fare dei buoni affari. Continuando a camminare si arriva in un’altra via anch’essa di carattere commerciale. L’attenzione del Cagno si sofferma su una vetrina dove sono esposti dei costumi d’epoca.
«Ce la facciamo una foto in costume?» Propone offrendosi per interpretare la parte di una donzella con abito lungo. Non mi meraviglia per niente. Del resto nel rappresentare i quattro connazionali di Emilio Fede, la parte del culattone era la sua. L’idea ad ogni modo, non raccoglie molti consensi e poi, poi finalmente abbiamo adocchiato la nostra meta. Il ristorante! Il locale è di sicuro molto bello ed invitante, ma quando Sandro nota che dentro ad un tavolo ci sono quattro giovani donne, entrarvi diventa un must. Il cameriere ci dice di scegliere pure il tavolo dove accomodarci, ed il nostro eroe fa in modo che questo sia il più vicino possibile a quello delle ragazze. Lui poi fa in modo di avere il posto quasi confinante con quello delle tre giovani donne.
Sandro fa tutto il possibile per attaccare bottone. Prima saluta, poi risaluta, poi saluta ancora senza ottenere alcuna risposta. Poi quando il cameriere viene a prendere le ordinazioni, lui ovviamente decide di scegliere lo stesso piatto della ragazza che ha di fronte, non perdendo occasione per lanciarle un sorrisone per nulla corrisposto. Tutt’altro: quando lei ad un certo punto solleva il coltello parlando con le amiche in un idioma sconosciuto, temo il peggio. Invece, fortunatamente lei sembra volersi specchiare nella lama e lo ripone in tutta tranquillità.
Alle spalle di Daniele invece sono sedute tre donne anziane che ci guardano con insistenza. Una di loro in particolare, sembra adocchiare con una certa bramosia il nostro amico. A parte l’età, che non gioca certo a suo favore, la donna è sicuramente bruttina… no, non è corretto è proprio un mostro. Capello grigio topo, occhiali tipo talpa miope, dentatura a cruciverba con alcuni spazi nei tra le caselline bianche, occhio languido e una carnagione così smorta che il nostro ex compagno di carte Zagni al confronto sembra essere Eto’o. Davanti a lei, è seduta un donnone un po’ più giovane ma con il fisico alla “ciccio bastardo” uno dei protagonisti di Austin Powers. In pratica una specie di ippopotamo grasso con la parrucca bionda. Completa il gruppo la più figa della combriccola, un po’ più giovane ed un po’ meno robusta dell’amica, ma lo stesso più simile ad un Fiat Doblò che ad una donna. Le ultime due sembrano essere più interessate a quello che hanno nel piatto, mentre la prima non molla nemmeno per un secondo il nostro tavolo. Metto in allarme Sandro, anche se in realtà l’obiettivo degli sguardi del mostro sembra essere il Cagno che propone una riflessione:
«Vedi, il sentimento che noi proviamo per gli sguardi di queste, è di sicuro lo stesso che queste altre…» con un cenno del capo indica il tavolo con le tre giovani, «possono provare per te.»
Un ragionamento filosofico che avrebbe meritato ben più ampio risalto invece:
«Dai Cagno, non è poi così male quel mostro lì.»
Ci scappa un “piuttosto vado con un uomo.” Una frase fatta, che però da il la ad una furibonda discussione. Si comincia con il parlare dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, per continuare prendendo in esame i problemi che potrebbero derivare dall’unione tra due uomini e dell’amore che questi potrebbero provare reciprocamente. Il Cagno, pur dicendosi tollerante, in realtà è un acceso contrario alla possibilità che due persone dello stesso sesso possano unirsi in una coppia di fatto. Arriva ad affermare che un gay è di sicuro un contro natura. Eros viaggia più o meno sulla stessa lunghezza d’onda mentre Sandrone, forse ancora turbato dalla metafora filosofica di poco prima, o forse perché impegnato a chattare con qualche amica è avulso alla discussione e stranamente ci risparmia i suoi also sprach sulla materia. Spetta quindi a me, issarmi sulle spalle la bandiera dell’arci gay e di difendere a spada tratta i finocchietti di mezzo mondo. Nel ranking di Emilio Fede da quel momento divento io il “connazionale culattone.”
Pur premettendo di non amare l’idea che due uomini si possano sposare, e che possano mettere su una famiglia, non mi sento nelle condizioni di poter decidere di evitare che questo possa succedere. M’irrita poi, il fatto che una persona, che ha gusti sessuali differenti dalla maggior parte degli altri possa essere considerato contro natura. La considero quasi una frase nazista e non manco di farlo notare agli altri. Nel ristorante siamo rimasti solo noi, ma facciamo un casino infernale.
«Una coppia gay è contro natura perché non è in grado di procreare.»
«Una donna eterosessuale che prende la pillola per tutta la vita è contro natura allo stesso modo, se il metro di misura è lo stesso.»
«Ma la donna decide lei stessa di non avere figli, un gay non può averne.»
«È ancora peggio. Ed una donna che è sterile come la consideriamo?»
«In quel caso si tratta di una persona normale che però la genetica ha voluto incapace di procreare.»
«Anche gli omosessuali non possono scegliere ma hanno una differenza a livello genetico che…»
«Che li rende diversi. Quindi anormali, quindi contro natura.»
Abbiamo pagato e siamo sulla strada. I camerieri avranno visto di buon occhio il fatto che ce ne siamo andati perché la discussione si stava facendo davvero molto accesa. Per le vie di Siofok, incrociamo alcuni turisti, probabilmente tedeschi o austriaci, che ci guardano male per il casino che stiamo facendo. Anche molti dei negozianti ci lanciano occhiatacce. Evidentemente sono abituati al silenzio ed al clima mesto e triste dei loro connazionali. Poi arriviamo davanti al negozio di una ragazzina che sentendoci arrivare da lontano è scesa in strada e mi sorride.
«Si capisce che siamo italiani, vero?»
«Sì!»
La bella ragazzina dice di avere venti anni e di avere studiato l’italiano a scuola come seconda lingua. E lo ha studiato molto bene, perché conosco italiani che parlano la nostra lingua molto peggio di quanto lo fa lei. Ha due occhi azzurri come il cielo, non quello di Budapest naturalmente. Sandro che è più avanti si gira e vedendoci fermi a parlare con una ragazza strabuzza gli occhi e ci raggiunge. Comincia subito con la sua tattica a cercare di farla parlare le da l’indirizzo di face book, così se per caso dovesse mai venire in Italia si offrirebbe di ospitarla. È come se cappuccetto rosso decidesse di alloggiare a casa del lupo. In ogni caso, acquista da lei i regali che aveva pensato di fare a Roberto.
Dopo aver pranzato c’è più tempo per soffermarsi a guardare le bancarelle ed i negozi. Daniele trova quasi subito il souvenir da comperare e da portare come ricordo. Purtroppo, adesso che siamo in quattro non c’è posto nel bagagliaio, e deve desistere dall’acquisto. Il solerte venditore gli assicura che un pezzo del genere è difficilissimo da trovare altrove, e propone un imballo particolare che permetterebbe di trasportare l’oggetto.
«Coma tu vede…» il giovanotto parla un italiano grezzo «noi si fa pacco e si lascia fuori maniglia. Così tu porta in giro lui come valigia.»
Il problema però, non è portarlo fino alla macchina ma piuttosto riuscire a metterlo nella poderosa.
«Tu ha maniglia…» si permette d’insistere il commerciante.
«Ma quale maniglia?» Chiede il Cagno un po’ spazientito. È allora che Sandro rompendo gli indugi gli mostra la maniglia in oggetto.

Tornando alla macchina facciamo la conoscenza con un tipo del luogo che, mantenendo intatta la tradizionale diffidenza dei magiari non ci parla anche se continua a guardarci con aria benevola. Lo salutiamo, anche se il suo sorriso non ci mancherà.

Ci fermiamo in macchina a guardare le onde sul lago. C’è un vento abbastanza forte tanto che sconsiglia di stare all’aperto a godersi il panorama che ora, complice anche qualche raggio di sole ed un cielo finalmente un po’ più azzurro è ancora più bello. Dentro la poderosa, Sandro tiene una lezione di tattica di conquista femminile. Ci spiega il segreto del suo successo, che è basato su un sottile gioco di equilibri.
«… l’importante è portare la donna a parlare con te, a considerarti amico fino al punto da cominciare ad abbassare le proprie difese…»
«Così poi le abbassi le mutandine!» Obietto distrattamente io.
«Come corri! Quello è lo step successivo.»
Scendiamo sul prato antistante il lago e ci avviciniamo ad una panchina. Passa un gruppetto di turisti e quando sono vicino a noi, Sandro fa magicamente comparire dal nulla un giornale porno e lo fa cadere per terra. Il tutto, in modo che sembrasse caduto ad Eros e Daniele seduti sulla panchina. In pratica non credo proprio che nessuno si sia accorto né del giornale né tantomeno della sua natura. Il gioco però diverte un pochino e lo ripetiamo poi nel parcheggio.
Tutti in macchina. Nemesnep ci attende. Impostiamo il navigatore che ci guida con la gentile voce della signorina sulla utca del caso fino a riprendere l’autostrada.
C'è ancora il tempo per una nuova esperienza. Durante il tragitto, infatti, due ragazze ci superano e per un po' ci stanno davanti. Sandro riemerge dal letargo in cui stava fino apochi secondi prima e prega il nostro guidatore di superarle a sua volta. Naturalmente, durante il sorpasso, saluta si sbraccai e fa di tutto per farsi notare, senza però risultato. Il Cagno rallenta e dopo qualche chilometro le ragazze risuperano. stessa scena con bacino saluti e quant'altro, ma stesso risultato: nessuno. Sandro si abbassa i pantaloni e quando la poderosa risupera l'utilitaria con le due giovani, espone dal finestrino il "gianicolo". le ragazze da allora in poi si sono mantenute a distanza di sicurezza.
La nostra compagna chiacchierina, ci fa fare una brevissima scampagnata in Croazia, per poi risalire verso casa dalla Slovenia. Ripassiamo davanti alla casa con le pecore di plastica e dei cani suicidi, quindi finalmente avvistiamo la nostra Abbazia.
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