sabato 6 marzo 2010

CAPITOLO CINQUE

Il gioco:

Al pari di ogni altro sport che si rispetti, anche il due ha un regolamento e dei ruoli da rispettare, per il corretto svolgimento delle partite. Come abbiamo visto, possiede una sua storia e un gergo che lo accompagna da secoli fino ai nostri giorni. Ma andiamo con ordine:

Il regolamento.

Come ogni sport anche il due ha il suo statuto e le sue regole. Premesso che queste vanno applicate in maniera equa per tutti, e che non dovrebbero essere interpretate, è opportuno ricordare che esiste una leggera forma di lassismo che permette a tutti noi di sopravvivere. È chiaro a tutti, se fossimo capitati qualche secolo più indietro, magari invece che al circolone di Bernate in uno qualunque dei saloon del vecchio west, difficilmente saremmo morti di semplice vecchiaia. Non credo che i frequentatori armati di Colt 45 avrebbero accettato, la visione periscopica di qualcuno di noi, i calcetti sotto il tavolo di qualcun altro, e soprattutto i dialoghi spontanei prima, dopo e soprattutto durante le partite. Ci sarebbe stato da discutere dopo ogni partita e molto presto si sarebbe passati dalle parole ai fatti. Per fortuna, siamo nel XXI secolo (oh, me paro Seneca) ed alla violenza si è sostituita tanta tolleranza. In ogni caso, ecco le regole da tenere in considerazione:
- Non si dovrebbe guardare le carte ai vicini. A meno che questo, non sia assolutamente necessario ed irrinunciabile.
- Qualora una sola carta si volti durante la distribuzione, il mazzo dovrà essere rifatto. Se si ha in mano delle belle carte, si può cercare di fare finta di nulla, o dire: «No! Non ho visto il due di picche che ti si è girato.»
- Qualora uno dei sei partecipanti non disponga dopo la distribuzione delle carte di alcun punto, egli è tenuto a chiedere la ripetizione del mazzo. Aspettare che tutti hanno guardato le carte, e buttarle sul tavolo con gesto teatrale, è un gesto che può divertire, ma in ogni modo rimane un atto da assoluti cazzoni.
- Non si dovrebbe parlare durante la partita, nel senso che, contare i punti ad alta voce o suggerire che cosa giocare ad un indeciso partecipante, falsa l’andamento della stessa. Logicamente però, non facendolo si falserebbe una partita, che sarebbe dovuta essere regolarmente falsata.
- Per vincere bisogna ottenere 61 punti per una chiamata standard, o il numero pattuito durante la contrattazione. Raccogliere tutte le carte, e dire con convinzione «61!» non attacca più! C’è sempre qualche rompicoglioni che ha tenuto il conto.
- Al comandante andranno tre punti ed al socio 1. (ovviamente in caso di vittoria). Agli avversari saranno assegnati -1. Chi segna però…
- Doppio punteggio, per chi chiamerà il due imponendosi 68 punti. Triplo per il settantotto. Quadruplo per l’ottantotto. Il “cappotto” moltiplica per due il punteggio.
- Al giocatore (folle ed inc… fortunato) che vincerà giocando in casa. Andranno cinque punti (-1 agli altri). Valgono gli stessi fattori di moltiplicazione del punto precedente.
- Nel caso di parità, a beneficiare saranno i giocatori in attesa che si spartiranno il bottino, mentre chi ha giocato perderà un punto. Se non c’è nessuno, la classifica non si muove. Colgo l’occasione per ricordare la signorilità, con la quale c’è chi accetta i punti storcendo il naso, così in contrasto con chi invece lo fa andando ad esultare sotto la curva.
- Quando un giocatore chiama il cinque ad invito, un eventuale secondo giocatore che ha la stessa possibilità, ha il dovere di stare zitto. Dare ulteriori indizi, dicendo di avere un altro invito falsa il gioco. Logicamente però, sono solo in pochi (due o tre) ad attenersi alla regola, per gli altri è permesso fare sorrisetti compiacenti, o mormorare frasi ambigue tipo: «Anche io c’avrei un due non male…» Insomma, si mette chi deve chiamare a suo completo agio, sapendo che male che gli vada, beccherà un due non pelato.

Questo dovrebbe essere la base del due corretto. Sappiamo tutti invece, come si svolgono gli incontri e conosciamo tutti i difetti e le cattive abitudini difficili da combattere che ci affliggono e che sono impossibili da rimuovere.

Facciamo ora un esempio di partita regolarmente disputata nel 1850 nel saloon Blue Belle di Denver nel Colorado:

«Il mazzo sta a te Slim!»
«…» (nessuno parla, durante l’incontro e non vola una mosca.)
«Che bella…»
«Ehi, Sam vai in cerca di rogne?» Fa minaccioso Bob alzandosi in piedi e brandendo la sua fiammante Colt.
«Stai calmo Bob! Volevo solo dire che la figlia di Belle si è fatta davvero una gran bella gnocca.»
«Ok Sam!» Mormora Bob rimettendo la pistola nella fondina, aggiungendo: «La prossima volta dillo quando la partita è finita.»

Esempio dipartita giocata oggi:

«Il mazzo sta a te.»
«Non ha caricato! Il compagno deve essere lui.» Dice normalmente il terzo giocatore dopo il socio.
«Metti tu la briscola che poi io ti carico.»
«No, falla mettere a lui così tiene davanti il comandante.»
«E se non ce l’ha?»
«Ce l’ha! Ce l’ha!»
E poi ancora, giusto per non rischiare:
«Cinquantasette!» Esclama uno dei giocatori, subito dopo che il comandante ha giocato in modo da fare capire ai non soci quanti punti mancano alla vittoria.
Oppure, altre frasi condizionanti:
«Il mio socio conviene stare lì in cestina!» Che è un invito del comandante a lasciare passare la mano ed a conservare la briscola per momenti migliori.
«Adesso prende il mio socio ed è finita così!» Invito del comandante a prendere la mano.

La differenza come si vede balza subito all’occhio.


I ruoli.
Dopo le regole è opportuno conoscere i rispettivi ruoli del gioco e le varianti che li caratterizzano:

Il comandante.
È la figura più importante del gioco. Questo ruolo spetta di solito oltre che al più fortunato, anche al più ardito uomo della partita. Mai come in questo caso, il motto:
“Audaces Fortuna Juvat”
calza a pennello. La fortuna aiuta gli audaci, quelli che pur non disponendo di carte eccezionali si scagliano in imprese che potrebbero diventare epiche. Tutti sono in grado di diventare il comandante di una partita, ma un conto è fare il comandante, ed un altro è sentirsi comandante. Un vero comandante, si nota dalla tracotanza e la sicurezza con la quale si districa durante le chiamate spesso, saltando i passi intermedi per puntare diretto al bersaglio grosso. Altrettanto bello è osservare il comportamento altezzoso di quest’ultimo quando è messo in difficoltà da uno stopacü. Egli, rimarrà un po’ a pensare come reagire alla mossa, azzeccando il novanta per cento delle volte quella più adatta. Ed anche in caso di errore, normalmente finirà in piedi l’incontro evitando di essere travolto dagli avversari. Anche il ruolo del comandante ha le sue categorie e le differenze:
- Comandanti di fatto: ossia quelli che si ergono a questa carica quando si sentono forti, e soprattutto hanno dalla loro, carte notevoli che ne auspicano i sogni di vittoria.
- Comandanti ardimentosi: che confidando nell’aiuto della dea bendata, si lanciano alla conquista di vittorie insperate, solo in possesso di poche briscole e di tanta fiducia nei propri mezzi e nella fortuna.
- Comandanti per forza: convinti di essere unti dal Signore, o addirittura imparentati con Lui, si gettano in ogni tipo di partita anche con carte scadenti non facendosi scrupolo di fare cambiare le regole in corsa o di qualsiasi diavoleria pur di vincere. Nel DNA di questi individui esiste solo la vittoria e la parola sconfitta, è senza dubbio sempre da addebitarsi al comportamento del socio.
- Comandante mediamente fortunato: nonostante si barcameni a mezza classifica, questo giocatore sa di poter contare nell’arco di una serata di almeno un paio di mani stratosferiche. Questo giocatore è paziente e le sa aspettare, piazzando sicure vittorie e mettendo a posto il proprio bilancio.
- Comandante pirla: il quale pur essendo certo che la dea bendata ci vede benissimo e che per questo vedrà di evitare di guardarlo, cercherà lo stesso di chiamare esponendosi a figure di merda.

Certo, nell’ultimo caso, non è sempre facile rendersi conto, e soprattutto accettare che la fortuna ti stia voltando le spalle. Per questo motivo spesso questo tipo di giocatore, illudendosi di essere arrivato alla fine di un tunnel, nonostante sia in possesso di carte meno che mediocri, si lascia andare e sfida la sorte. Nella stragrande maggioranza dei casi, questo comandante si sente insicuro e prenderà una sonora legnata che lo sconsiglierà a perseverare. Si accontenterà di contenere le perdite, attendendo tempi migliori.
Ci sono naturalmente ricorsi storici anche per questa figura leggendaria della Briscola a chiamata.
Una figura storica di comandante pirla, può essere ricavata da Benito Mussolini, il quale pur avendo tra le mani al massimo donna, fante e sette di briscola si buttò a capofitto nella campagna d’Africa per cercare di conquistare il suo posto al sole. Esso borioso come solo lui seppe essere, confidava sia nel fido alleato Rommel, sia nel fatto che anche se fosse stato in possesso di armi migliori delle sue, il nemico non sarebbe stato in grado di batterlo. Così, dopo aver fatto sue con le briscoline piccole Tripolitania, Cirenaica invece di accontentarsi e di stare in cestina, cercò di allungare le mani anche all’Abissinia. Ricevendo le giuste mazzate.
Un discorso simile, va fatto per il di lui amico, Hadolf Hitler che disponendo di un bell’asse, tre e re ma essendo sicuro di avere pescato il due in piedi (alleandosi con l’Italia, poteva esserne più che certo di averlo beccato pelato, in tutti i sensi) invece che accontentarsi di una semplice vittoria, aveva voluto fare come si usa dire adesso “lo sborone!”
«Chiamo il due ad ottantotto.» E si lanciò alla sicura conquista di Mosca, il pirla. Doppiamente pirla, se si pensa, che, guardandosi indietro ed imparando dagli errori di altri, (Napoleone Docet,) avrebbe potuto accontentarsi di vincere e di rimanere magari concentrato con le truppe sulla costa della Normandia.
Un esempio di comandante per forza, ce lo abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni. Siede alla poltrona di presidente del consiglio, ed è convinto di essere un Dio sulla terra e di poter tramutare in oro tutto quello che tocca. È riuscito a vincere partite incredibili, magari facendo spostare ospedali, aeroporti e linee aeree, pur di riuscire nei suoi intenti. Gli riuscisse di aumentare di altezza una quarantina di centimetri e di farsi ricrescere i capelli, egli potrebbe ambire anche alla carica stessa di Dio.
Già me lo vedo, di fronte al Padreterno:
«Mi consenta! Lei è già qui da troppo tempo, è ora di portare avanti il mondo in una certa Manieeeeraaaa.»
Altri esempi di comandanti di forza, me lo suggeriscono i conquistadores spagnoli. Pensate a Francisco Pizarro ( non il calciatore dell’Inter, l’altro), inginocchiato davanti ad un enorme quadro raffigurante la Madonna. È lì che prega, piange, si strugge implorandola di proteggerlo e di aiutarlo nella sua missione. Chiede a lei la forza ed il coraggio per affrontare gli Inca, che sono tanti sì, ma che sono ingenui ed incapaci di combattere. Poi si alza, ringrazia si fa il segno della croce, e va fuori a prendere a cannonate un’intera civiltà, radendola al suolo.
Beh, è un po’ come quello che successe (fu meno grave per fortuna) più di quarantacinque ani fa in una partita di calcio tra Inter e Juventus. I nerazzurri, in polemica con la federazione gioco calcio, il cui presidente era… era… ah ora mi ricordo, si chiamava Umberto Agnelli (dove ho già sentito questo nome), che aveva deciso di tramutare uno 0-2 a tavolino in ripetizione della partita, decisero di giocare con undici ragazzini il big match. Ed i mitici bianconeri che fecero? Vinsero? Su questo nessun dubbio, non ce ne sarebbero mai stati. Solo che vinsero, segnando una valanga di goal, nove per l’esattezza. Ed il mitico Sivori (comandante di forza o anche di fatto, a voi la scelta) che fece? Da vecchio aveva sempre predicato il fair play, da giovane essendo in lotta per il titolo di capocannoniere, ne fece addirittura sei.

Il comandante ardimentoso, ispira invece simpatia. È un coraggioso che cerca sempre di gettare il cuore oltre l’ostacolo. È un Ernesto Che Guevara certo di andare incontro al suo triste destino cui non può sottrarsi. Vincerà tante partite anche se poi come poteva aspettarsi, l’ultima di queste gli sarà fatale. È uno di quei piloti di formula uno che non ha mai potuto avere la macchina giusta al momento giusto e che ha spesso guidato al centocinquanta per cento delle proprie capacità per ottenere quello che altri meno capaci, ma più fortunati di lui hanno ottenuto, magari guidando con un braccio fuori del finestrino e la sigaretta in bocca.



Il socio:

Si tratta di sicuro del ruolo più intrigante e stimolante dell’intero gioco. Il socio, comincia a palpitare un secondo prima che il comandante dica il seme della sua chiamata, quasi sentendo che sarà la sua, la carta che sentirà pronunciare.
Gli stati d’animo del socio sono contrastanti e vanno di pari passo, com’è logico, con la qualità delle carte che possiede e che determineranno la sua filosofia e condotta di gara. Se il comandante ha il compito di controllare il ritmo della contesa, il socio è la scheggia impazzita che può, nel bene o nel male accendere la partita.
Esistono anche per questo ruolo che non è decifrabile diverse tipologie di gioco, spesso condizionate dalle carte in possesso, dalla posizione di gioco sul tavolo e soprattutto dalla personalità del singolo individuo.
Spesso il socio può fare la differenza tra una partita vinta ed una persa, con una giocata geniale o con un’azzardata mossa riuscita. A volte però, un’incomprensione o una cazzata madornale del socio, possono fare perdere gare impossibili da perdere. Ricordo allo scopo una partita epica, giocata a Villasanta (saranno passati almeno ventidue - ventitré anni, ma conservo un ricordo indelebile nella mia mente.
Ho nelle mani asso, tre e re, ed arrivo a chiamare il due a settantotto. Siamo in sei, e sono il primo a giocare. Gioco una figura, credo una donna, alla mia destra il giocatore di cui non voglio fare il nome (Dorino; e che cazzo, quando ci vuole ci vuole) va liscio. Carico, carico, carico e carico. Quarantacinque punti di strozzo, e partita persa. Il socio, si accorge di avere fatto la cazzata e tenta biecamente di fare cadere il due per terra.
«Perché non l’hai giocato?» Gli domando stravolto.
Mi risponde a metà tra il terrorizzato ed il confuso in maniera incomprensibile. Gli prendo le carte e le guardo e quasi mi viene un colpo. Aveva a disposizione anche donna, fante e sette di briscola.
Io non ricordo anche se in fondo credo che non sia vero, ma voci autorevoli mi dicono che è da quella sera che ho cominciato la mia carriera di blasfemo e bestemmiatore. Non ho più smesso.
Un altro esempio più recente si è verificato con un due a sessantotto chiamato dal presidente. Il socio (del quale questa volta non voglio fare il nome), dopo avere giocato senza infamia né lode per tutta la partita, nonostante ha dalla sua il re di briscola, si mantiene in attesa. Ha finito i carichi e non può supportare come vorrebbe il comandante aiutandolo a raggiungere l’agognata meta dei sessantotto punti, quando alla penultima mano, decide di compiere il suicidio, portando con se il presidente nel baratro. Forse distratto dalla tensione della partita, più facilmente deluso nel vedere il proprio comandante raccogliere un così magro bottino, prima con il tre e poi con l’asso, il socio, di cui davvero non ho intenzione di fare il nome, gioca il re. Stupore sulla faccia di tutti, travaso di bile del presidente che assume un colorito ittero-giallastro e vittoria degli avversari grazie ai punti fatti di strozzo nella mano seguente. Il presidente prendendo a male la sconfitta maturata a quel modo, medita di abbandonare il tavolo e di appendere le carte al mitico chiodo. Ci ripenserà più tardi, coniando per l’occasione un nuovo termine, ritenendo assolutamente insufficiente ed inappropriato il canonico “Canela,” uscì con un “Gandolfo” insulto supremo che ad oggi non è stato più utilizzato.
Esistono numerose teorie sull’utilità di calare la carta incriminata e svelare a tutti la propria identità. È più che normale quindi, che come sempre, quando si parla di teorie e tattiche di gioco si debba ricorrere a chiedere il parere dell’esperto. Nel suo libro:
“AVRÒ ANCHE PERSO, MA COL CAZZO CHE HANNO CAPITO CHE ERO IO.”
Cagnolati, in una recente intervista, spiega la sua idea in proposito.
«io non capisco la gente che ha fretta di farsi beccare pur di dare il carico al comandante. Ci devono essere i modi e le condizioni giuste per poterlo fare. In particolare mi fanno rabbia i soci, che nonostante siano senza particolari briscole, la giocano subito smascherandosi e facendo perdere la partita al comandante. Giocare l’unica briscola, per giunta quella che è stata chiamata, solo per evitare che qualcuno possa fare dei punti magari di strozzo, è secondo me un atto di inciviltà e manifesta insicurezza in chi lo compie. Io suggerisco sempre di provare a buttare qualche punto per confondere le acque e magari costringere gli avversari a mangiarsi qualche briscoletta. So di predicare nel deserto, quando racconto queste cose, ma se mi sento di farlo, è solo perché nella mia lunga esperienza di gioco ai massimi livelli ho potuto maturare questa convinzione che cerco di portare avanti.»
«Certo però, la posizione sul tavolo può condizionare il modo di giocare ad esempio…»
«Stiamo parlando del gioco che ha le maggiori variabili in assoluto. Io non dico che assolutamente la briscola non deve essere giocata, dico solo che deve essere ponderata. Di volta in volta, anche se, ad onore del vero io rimango sempre dell’idea che mantenersi in incognita fino all’ultimo, è un’arte che bisognerebbe insegnare nelle scuole.»

Lasciando perdere per un attimo le teorie del fuoriclasse, possiamo riassumere in breve il compito di un bravo socio.

- Socio pelato: cercare di non farsi beccare e ponderare come suggerisce il guru del due, il momento più redditizio a fuoriuscire l’unica briscola. Approfittare di tutte le occasioni, compatibilmente con la necessità di non scoprirsi di portare punti alla causa comune. Assolutamente evitare di mandare in presa il comandante.
- Socio con altre briscole medie: seguire il gioco, cercando il momento più giusto per sferrare l’attacco. Va tenuta sempre in considerazione la posizione che il comandante andrebbe ad assumere e l’impatto che la mossa potrebbe avere sulla partita.
- Socio con briscole alte: guidare il comandante, in modo da permettergli di fare punti, e mettersi nella condizione di coprirgli le spalle. Potrebbe essere utile fargli capire subito giocando la carta chiamata, che si è in possesso di altre briscole abbastanza grosse.
- Socio che chiamava lo stesso seme del comandante: è un must, fare comprendere subito al comandante che non solo siete il socio, ma che siete in possesso di quello che gli manca. Questa mossa, normalmente ottenuta fornendo al chiamante un carico da raccogliere già in prima mano, serve anche per creare il panico negli avversari che cominceranno ad avere freddo ed a temere il classico cappotto.

Lo scopo del socio, qualunque sia la sua condizione, è quella di lasciare il comandante il più possibile ultimo ed in grado di poter gestire la situazione a modo suo. Per questo motivo è apprezzabile “girare il gioco” quando è possibile e fare in modo di lasciarlo ultimo, mentre sarebbe sconsigliabile giocare briscole, se non in casi eccezionali, che lo rendano primo a giocare ed esposto agli avversari.
Come abbiamo avuto modo di intuire, per un comandante è molto importante il socio, sia sotto un punto di vista di fornitura di briscole, sia sotto quello della posizione strategica sul tavolo. È meglio averlo, subito dietro a fornirti la giusta protezione. Non deve essere sottovalutata poi, l’importanza della personalità dello stesso. Per il comandante, infatti, sapere che potrà contare sull’appoggio di Caio, anziché su quello di Sempronio, può essere altrettanto utile e rassicurante. Un’iniezione di fiducia che facilità un poco la partita.
Un esempio eclatante di questo, viene dalla storia contemporanea. G.W. Bush che possiamo tranquillamente paragonare ad un comandante, pur con tutto l’amore che può provare per il suo amico Silvio Berlusconi, che si danna l’anima pur di aiutarlo, preferisce di gran lunga essere in compagnia di Tony Blair. È più affidabile e di sicuro più smaliziato del piccoletto italiano.
Oppure, chiedete a Hitler, se era felice quando si accorse che il socio nella seconda guerra mondiale altri non sarebbe stato che il pelatone in camicia nera.
Diciamo per essere gentile, che non ci si meraviglia più di tanto, leggendo un leggero gesto di disappunto sul volto del comandante, allorché si accorge, che il socio è quello e non l’altro individuo. Poi, però tutto si ricompone: l’importante è solo la partita.
Il ruolo del socio quindi può essere, in funzione delle carte di cui si è in possesso, esaltante o avvilente. Uno stato d’animo, che si può con l’esperienza, leggere sul volto dei giocatori. Si può vedere il sorriso sornione di chi, oltre alla briscola chiamata dispone di qualche pezzo da novanta e qualche carico, alla voglia di essere da qualsiasi altra parte, fuorché seduto a quel tavolo, di chi invece dispone solo della briscolina che lo ha incastrato e magari solo un paio di punti come dote. C’è da aggiungere spesso la frustrazione di sapere che, forte delle sue aspirazioni il comandante ha alzato la posta pur di riuscire ad ottenere il diritto di chiamare il vostro due e che voi e solo voi, vi siete resi conto di avere le stesse possibilità di vincere di quelle che avreste di portarvi a letto Cristina Aguilera.


Gli avversari.

Sono una squadra che si rinnova ad ogni partita è che ha l’unico scopo di fare perdere chi si è arrogato il diritto di chiamare.
Per poter riuscire nell’impresa di vincere l’incontro, la neo squadra si deve attrezzare in corsa e definire senza parlare i rispettivi ruoli. Il ruolo di rompicoglioni addetto alla giocata dello stopacü, di solito, spetta all’ultimo giocatore prima del comandante e solo raramente, al penultimo che si sente in diritto di provare qualora disponesse di molte briscole. I guastatori invece, sono degli avversari delegati a dispensare carichi e punti non appena chi ha chiamato ha calato la sua carta. Per riuscire a vincere, la squadra avversaria che può contare normalmente di briscole meno importanti rispetto al comandante, deve giocare in maniera irreprensibile, sapendo dispensare con il comandante in giusta misura, il bastone e la carota. Mandare in presa il comandante e colpirlo la mano seguente in contropiede.
Di solito un carico non dato, o più facilmente una briscola giocata di troppo segna il confine tra una facile vittoria ed una sconfitta generando migliaia di chiacchiere e vetusti ragionamenti con il senno di poi.
Questi improvvisasti Vietcong, sono spesso costretti alla guerriglia sempre aspettando l’arrivo dei rinforzi o della cavalleria che con una mano sapiente permette di chiudere una partita o quantomeno di riaprirla.

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