sabato 6 marzo 2010

CAPITOLO SETTE

La squadra:

Per rendere leggendario il nostro gioco c’è voluta la passione e la dedizione di tanta gente. Molti sono passati come meteore sui tavoli da gioco, altri hanno scelto strade diverse, pochi hanno tenuto viva la tradizione ed hanno permesso ai nuovi di trovare un terreno fertile per dimostrare le proprie capacità. Conosciamoli:

Il presidente.
“Asta la vittoria siempre!” Questo motto così caro a Che Guevara, si sposa perfettamente con la figura del presidente dell’associazione. Si tratta di un giocatore vecchio stampo, un vero e proprio comandante che con il coraggio e lo sprezzo del pericolo si è sempre imbarcato in migliaia di partite, giocate all’arma bianca.
Il “macellaio,” così era noto il presidente, prima dell’attuale carica che riveste da decenni, doveva l’appellativo alla forza ed alla determinazione con cui affrontava gli avversari, spolpandoli fino all’osso. Di carattere forte il “Pres” come viene chiamato attualmente nel giro del gioco, è la classica macchina costruita per ottenere la vittoria. Nessuno come lui è in grado di memorizzare durante l’incontro i punti, fatti, le briscole utilizzate e tutto il resto necessario al conseguimento della vittoria.
Un personaggio di questo calibro presta il fianco ad innumerevoli leggende, che ne contornano la figura destinata a diventare un giorno, mitologica come quella di un Dio. Una di queste vuole che quando, fu partorito avesse ben impresso sulla schiena l’immagine premonitrice di un due di coppe. Altri, smentiscono questa teoria asserendo che invece si trattava di un “asso di bastoni” e che non fosse proprio tatuato sulla schiena.
Un’altra leggenda invece vuole che il futuro Pres, dopo pochi giorni avesse cominciato ad armeggiare con le carte da gioco e che già all’inizio della primavera del 1961, avesse giocato e vinto la sua prima partita di briscola a chiamata.
Dopo aver equamente distribuito i suoi interessi tra il gioco che lo avrebbe reso celebre e la sua altra grande passione, le donne, (sarebbe stato più adatto scrivere la figa) il “macellaio” raggiunse nel finire degli anni ottanta la completa maturità dal punto di vista tecnico tattico, si vocifera anche grazie al matrimonio.
Ottenne la prestigiosa carica di presidente per acclamazione, dopo l’ennesimo torneo vinto e da allora è considerato e riverito come leader massimo dell’associazione. La sua reggenza è diventata simile ad un pontificato, venendogli rinnovata la fiducia ad ogni nuova elezione.

Il cassiere.
Giocatore oriundo cui, vista la classe innata e l’abilità nel gioco è stato prima fornito un regolare passaporto contraffatto per poterlo tesserare, ed in seguito avviata la pratica di naturalizzazione.
Si tratta di un altro mostro sacro del due, che per la qualità del gioco fantasioso e maledettamente concreto, si è guadagnato in fretta l’affetto dei tifosi che lo hanno riempito di appellativi più o meno calzanti. La regalità del gioco aveva suggerito alla moltitudine dei suoi fans, il nomignolo di “Sultano di Merone” amena località in cui il giocatore, nel quale i tifosi avevano già intravisto le stigmate del futuro fuoriclasse, usava andare in ritiro nei prepartita amando attorniarsi di belle ragazze.
Poi, grazie al gioco dissacrante con il quale riusciva a demolire gli avversari, il futuro cassiere si era guadagnato il titolo di “Santo Padre.” Il nome era anche dovuto alla abitudine di fare il “labbro” e di benedire gli avversari prima di finirli. Divenne per il tifo organizzato (questa volta organizzato dal presidente, che aveva suggerito) anche la “Pelagura.” Forse in onore di Epicuro, filosofo greco famoso per il materialismo ed essenzialismo delle sue idee e di Pitagora del quale ricordava le geometrie nel gioco.
Il suo gioco meno spettacolare di tanti altri ma assolutamente concreto e redditizio è la stessa immagine del carattere del soggetto. Famose nel suo repertorio sono le giocate di rinterzo (dai, ormai lo sappiamo che è lo stopacü), le sporche sempre di pregevole fattura e le prese “di giustezza” come le definisce lo stesso giocatore.
La carriera del mitico giocatore è stata funestata da alcuni infortuni che ne hanno condizionato la presenza, ma mai il gioco. Il più grave dei quali lo ha costretto a rimanere in piedi a lungo (aveva subito un colpo proibito al soprasella ed aveva dovuto subire un complicato intervento chirurgico.) I maligni avevano previsto la fine della sua carriera, ritenendo impossibile la ripresa dopo un simile intervento; sul campo invece il cassiere dimostrò da subito di essere tornato e di essere più forte di prima. Quando dopo essere tornato, realizzò la prima vittoria, si avvicinò alla telecamera prima portando l’indice della mano destra davanti alle labbra come per zittire tutti, poi sollevando la maglietta sul davanti, mise in bella mostra la scritta “W la Figa” tatuata nel villoso petto. È l’immagine della fine di un incubo per lui e per tutti i suoi estimatori che è paragonabile al celebre urlo di Tardelli dopo aver realizzato il goal del due a zero nella finale dei mondiali del 1982.

Il Campione.
Giù il cappello! Di fronte al questo autentico fuoriclasse togliersi il cappello non è un semplice atto di cortesia, ma piuttosto un dovere, un imperativo categorico.
Probabilmente i natali di questo asso, in quel di San Germano Vercellese, ne condizionarono la carriera, forgiandone il carattere e acuendone la fantasia. Cresciuto nel feudo sportivo della gloriosa Pro Vercelli, il nostro uomo ha dovuto sudare per conquistare quel posto al sole che gli spettava di diritto e che regolarmente, poi è arrivato. E lui, non ha voluto dimenticare la squadra, in cui dopo anni di tentativi è riuscito a diventare sottoaiutosegretario del vicecustode nell’ufficio pubbliche relazioni, con incarico di commentare per la società con i media, le partite pareggiate in casa con un punteggio superiore a 5 a 5. Considerando il favore concesso al nostro uomo, dal presidente della Pro, un atto dovuto in virtù del prestigio portato alla squadra dall’illustre tifoso, il campione ha deciso di mettersi così al servizio della sua società, con l’abnegazione di un dilettante.
Dilettante in questo gioco invece, proprio non è il mitico Cagnolati. È stato il primo professionista della nostra disciplina ed il primo ad avere l’onore di aprire a suo nome innumerevoli scuole di Due, disseminate in tutto il globo terrestre. Come nel caso del presidente, anche il pluridecorato giocatore nacque con i segni del campione segnati sul proprio corpo. Se però il presidente presentava alla nascita una voglia a forma di due di coppe, il nostro uomo presentava fieramente sul petto, tatuata da madre natura la donna di picche (si proprio la pepa). Anche lui presentava il secondo segno del campione predestinato: l’asso di bastoni, ben visibile e minaccioso più che mai. (Ah, come passa il tempo! Nda)
Dalle giovanili della Pro Vercelli il campione fu avvicinato da Cestmir Vycpalek che lo avrebbe voluto con lui alla Juventus. Il fiero futuro campione però, non rispose ma mostrò all’incolpevole allenatore straniero, il più classico gesto dell’ombrello.
«Meglio finocchio che alla Juventus!» Gli ribadì allontanandosi da lui, lasciandolo in malo modo.
«Bvavo, è esattamente quello che dovevi divgli a quello stvonzo!» Gli sussurrò alle spalle uno strano individuo balzato fuori inaspettatamente da una siepe. Egli era vestito con uno strano tailleur fucsia, e parlando giocherellava in continuazione con un boa di struzzo rosa. Il futuro campione si fermò sorpreso di vederlo, incapace di aggiungere altro.
«Hai fatto benissimo! Guavda, io ad esempio pvefevivei pvendevlo nel culo piuttosto che giocave con lovo!»
Cagnolati, nonostante tutto, uscì da quella strana esperienza ancora più convinto della scelta fatta e più forte che mai. Debuttò in prima squadra l’anno dopo ed in nazionale dopo solo due partite. La sua fantasia e la raffinatezza nel palleggio delle carte, lo fecero subito notare al pubblico di tutto il mondo. In molti lo paragonarono subito a Pelè, alcuni per via del ruolo a Garrincha, altri ancora a Di Stefano.
«Io mi ispiro a Claudio Sala! Il poeta!» Esclamò il campione zittendo tutti.
E l’emulo di Claudio Sala si dimostro in campo forte, almeno quanto si era dimostrato nei rapporti con la gente e la stampa in genere. Vinse immediatamente nel primo anno di attività: campionato, coppa Italia, coppa DUEfa, classifica dei marcatori ed un paio di lunghissime partite a monopoli. Esattamente quello che gli serviva, per farsi conoscere.
A fine stagione partecipò con successo ai mondiali su strada di Ostuni, ottenendo neanche a dirlo la prima maglia iridata, bissata nella primavera successiva dalla vittoria alla Sanremo.
«CagnolatémegliePelé» Urlavano i tanti suoi fans disseminati dalle alpi alla Sicilia.
“È nata una stella!” titolò la gazzetta dello sport alla fine della finale mondiale vinta a Bangkok. La rosea da sempre diffidente sulle doti indiscutibili del campione, dovette arrendersi e dedicargli la copertina e ben sette pagine all’interno.
Da quel momento, il giornalista Maurizio Mosca nelle sue bombe di mercato, stante anche la crisi societaria in cui versava la Pro, ebbe la possibilità di sbizzarrirsi e di accasare il nuovo talento ad ogni squadra presente sulla faccia della terra:
“Cagnloati va alla Juventus!”

“Inter: è ormai fatta per Cagnolati! Accordo trovato tra il giocatore ed il presidente Angelo Moratti.”

“Gli occhi del Manchester United sul nostro migliore talento. Sfuma l’accordo trovato con il Liverpool.”

“Cagnolati visto limonare all’aeroporto con la cugina di Puskas. C’è aria di Real Madrid!”

“Che tridente! Rivera, Prati e Cagnolati per l’attacco del diavolo.”

“Johann Cruijff è sicuro. Io e Cagnolati insieme nell’Ajax.”

“Aioo! Caggnollati viene a giocarre con noi! Colpo del Cagliari, Cagnolati è suo!”

“Sel cambia squadra, Ul Cagnulà al vegn a l’Inter.”

«Cerea. Cagnolati è tifoso del Toro. Se cambia, viene qui.”
Nella inattendibile confusione generata dal mago del pendolino, nessuno si era preso la briga di chiedere direttamente a lui, la sua destinazione, essendo inimmaginabile che restasse legato ad una società ormai ad un passo dal fallimento.
Ci fu allo scopo una conferenza stampa nel salone buono della sede della Pro Vercelli, dove l’interessato, dopo aver ringraziato i dirigenti per l’aiuto avuto ed aver augurato loro di tornare presto tra le grandi, finalmente si dedicò alla curiosità dei giornalisti:
«La mia destinazione futura sarà…»
una lunga pausa per acuire ancora di più la curiosità dei presenti.
«Il Benfica!» Spiegando subito il perché della strana scelta, agli attoniti giornalisti presenti: «Mi piaceva il nome.»
Stipendiato dal Benfica, Cagnolati vinse ancora scudetto e mondiale, riuscendo a ripetere il successo per altri quattro anni consecutivi. Poi, si prese un anno di pausa, approfittandone per portare a termine gli studi, che fino allora aveva colpevolmente trascurato, riprendendosi la maglia iridata l’anno successivo.
Una carriera ed un palmares che parlano da soli:
10 titoli mondiali di Due su strada.
1 titolo mondiale di Due su pista.
24 vittorie alla Milano Sanremo
12 scudetti (Italia3, Portogallo 5, Sapgna, Galles e Azerbaigian)
14 volte capocannoniere
8 volte campione di lega
7 volte vincitore della coppa nazionale
2 coppe DUEfa
7 DUE D’ORO conferito da France DUEball *
1 torneo serale di risiko a Sant’Agata Di Militello.
13 partite complessive di monopoli (più una a monopoli in euro)
* France DUEball è l’importante testata giornalistica sportiva francese che ha istituito il premio per il miglior giocatore di due operante in Europa.

Solo nell’arco dell’ultimo decennio, la fame di vittorie del campionissimo si è un po’ attenuata, anche a causa di nuove passioni da parte dell’uomo, stanco di dovere sottostare alle voglie del giocatore. Anche, in questo caso, la signorilità del vecchio campione si è fatta sentire, con la decisione di ritornare all’ovile con un semplice incarico alla Pro Vercelli.
Un’altra passione di Cagnolati è quella dei necrologi, degli epitaffi tombali e delle singole notizie riguardanti morti e malati terminali.
Non è facile definire in poche righe quello che la carriera del giocatore da sola può fare. Si tratta di un purosangue del due, di un giocatore che con la classe del fantasista, di quel famoso numero dieci, ormai in via di estinzione, è in grado di cambiare in qualsiasi momento, con una sua giocata l’esito di una contesa. È il socio, che ognuno desidererebbe trovare, perché, trovandolo si ha la certezza di avere già vinto tre quarti di partita.
(Ora smetto, perché con la punta del naso mentre scrivo continuo ad urtare il monitor che si spegne in continuazione.)
Le caratteristiche del giocatore sono impossibili da elencare: senso della posizione, dribbling, tiro, mimetismo, fantasia… ci si può sbizzarrire a cercare quale sia il punto di forza di questo campione di razza. Cercando di fare una brevissima analisi del suo lungo periodo di vittorie; possiamo definirlo un attaccante, che con la maturità e la perdita di un po’ di freschezza si è saputo ritagliare un ruolo più adatto alle nuove condizioni fisiche. Prima era dirompente, ora è stravagante. È un centravanti completo che ha saputo trasformarsi prima in mezzala ed ora, al culmine di una brillante carriera in battitore libero. Libero di imperversare su tutto il fronte del gioco e di dare ancora lezioni di gioco e soprattutto di grande classe.

Grandangolo.
Una figura controversa. La classe non è acqua, e Grandangolo l’acqua sa come trattarla e come incanalarla nella giusta direzione. È un’operazione che gli riesce meglio che a chiunque altro, una specie di predisposizione naturale, che avrebbe potuto farne un autentico campione. Purtroppo per lui e per la sua carriera, che però, data la giovane età è però tutt’altro che conclusa, il giocatore si è spesso perduto per strada gettando alle ortiche quanto di buono aveva fatto.
Anche lui è nato dueisticamente parlando nella grande fucina di Peregallo. Frutto del vivaio della società, il giovane bruciò le tappe fino ad approdare in prima squadra già all’età di tre anni. Alcuni intenditori ne intravidero subito le qualità, prevedendo per lui un roseo futuro e raccontarono in giro del giovane prodigio attirando alle sue partite notevoli quantità di osservatori da tutto il mondo. Egli venne selezionato come prima scelta della NDA National Due Association negli Usa dove però rifiutò di trasferirsi per via dell’alimentazione poco curata e dall’eccessivo utilizzo di grassi. L’anno seguente fu dato per certo il suo passaggio ai “galacticos” del Real Madrid, e lui credendoci fino in fondo incominciò a studiare lo spagnolo. Poi arrivò, l’inspiegabile decisione di abbandonare temporaneamente il gioco per ritrovare se stesso, come spiegò lui in conferenza stampa. Una scelta che obbligò le Merengues ad abbandonare la sua pista ed a concentrare su Raul Gonzales, le attenzioni per il nuovo puntero.
Il tentativo di ritrovare il proprio io, Grandangolo, che allora era chiamato ancora “il tromba” lo fece in bicicletta. Macinò centinaia di chilometri pedalando il poverino, prima di rendersi conto che quella non era la sua sola strada.
Intanto, i quotidiani avevano smesso di parlare di lui, se non nei tristi archivi in cui. il suo nome appariva solo nel palmares di qualche classica che aveva vinto in passato. Poi successe l’inevitabile, il presidente nella sua grandezza lo avvicinò e gli parlò e convincendolo che tutto il suo talento non poteva essere gettato alle ortiche, e facilitandone il rientro. La classe era rimasta la stessa, ma il ciclismo e l’abitudine ad affrontare da solo le difficoltà hanno scalfito la sua sicurezza. Il soggetto però è un duro: rientra e ricomincia a giocare con la disinvoltura di sempre. Adesso ha smania di recuperare il suo posto e non trascura nulla per riuscire nel suo intento. Per questo ha imparato a “vedere la partita in un modo diverso” guadagnandosi così il nuovo nome di “Grandangolo.”
Scrivono di lui:
«Quando gioca, si ha come la sensazione che possa conoscere già in anticipo le carte dei suoi vicini. Sa sempre quando è il caso di giocare una determinata carta e non sbaglia praticamente mai quando rischia la giocata su di uno.»
o ancora:
«è incredibile come questo giocatore riesca sempre ad indovinare la carta più giusta da giocare e ad intuire quello che possono giocare i giocatori al suo fianco. È come se invece di giocare con sei carte, ne avesse a disposizione diciotto, a volte anche ventiquattro.»
Limitarsi a parlare della “visone periscopica” del suo gioco è però riduttivo. Sarebbe come dire che Schumacher (quello buono non il coniglio ex Williams ora in Toyota) vince solo perché ha una Ferrari. Ci sono anche le gomme, la strategia ai box, i meccanici, la fortuna, la mancanza di veri avversari… come dite? E va bene, lo ammetto, è anche un po’ bravino il Michelino.
Grandangolo, non è uno Schumacher, neanche un Raikkonen freddo e continuo è più un Montoja capace di grandi giocate e molto, a volte troppo ardimentoso. Famose sono, infatti, le sue chiamate al limite del folle, che però ne evidenziano lo stile e la capacità di rischiare che è alla base del suo modo di giocare.

Il poiana.
È di sicuro lo straniero più interessane del campionato. Abile nel gioco aereo e nel contenimento, il poiana ha la capacità di sapersi adattare ad ogni tipo di partita con camaleontica precisione e disinvoltura. Alla tecnica sopraffina con cui cala le carte, aggiunge un’invidiabile memoria ed altrettanta intelligenza tattica e senso della posizione, che lo rendono immune agli attacchi degli avversari. Il tipo di gioco sparagnino e pragmatico a volte lo rende meno spettacolare di quanto meriterebbe, ma non ne scalfisce la classe cristallina, né ne condiziona i risultati. La sua abilità nel conteggio dei punti è divenuta proverbiale e gli permette di controllare a suo piacimento le partite.
Il poiana è abbastanza famoso per le sue chiamate spesso ardite allorché potente come mezzi si butta nella mischia, travolgendo al passaggio ogni genere di avversario.
Unici nei, in un quadro generale di una figura che è comunque vincente, potrebbero essere due piccoli difetti che con l’esperienza e la buona volontà potranno essere limati ed al fine eliminati, spianandogli la strada ad inimmaginabili successi. Il primo di questi è l’eccessiva loquacità che ne accompagna le giocate e che potrebbe generare confusione nei suoi compagni. Più di una volta, infatti, alcune sue affermazioni hanno condizionato il risultato dell’incontro e gli hanno fruttato il richiamo ufficiale da parte del presidente. L’altra piccola pecca del giocatore è una leggerissima attitudine a cercare con mezzi propri, di aumentare l’entropia dell’atmosfera o al limite di modificare la pressione ambiente con frequenti e rumorose emissioni di aria (chiamiamola così, li mortaci sua). Questo lieve difetto, ha in passato condizionato i giornalisti nel momento di tributargli il voto in pagella rendendoli (almeno loro) un po’ stitici. Su questa piccola mancanza, il giocatore sta però cercando di lavorare, aiutato da allenatore e staff medico. I primi risultati del lavoro specifico, stanno già dando i primi risultati, infatti, da qualche tempo il giocatore nell’atto di emettere il suo gutturale sbuffo di aria, rivolge le terga verso destra, in segno di rispetto verso la figura del presidente.

La poianella:
Si tratta di un giocatore anomalo. Un vero cobra dell’area da rigore. Uno di quelli su cui non spenderesti neppure 1 euro, e che invece regolarmente finisce per sorprenderti e per stendere l’avversario. Il poianella (o la poianella, gli esperti stano ancora valutandone l’etimologia della parola) è l’esempio vivente del giocatore romantico, vecchio stile. Uno di quelli che vuole vincere, ma vuole farlo con il bel gioco e disdegna volentieri i punti ottenuti con fortuna e meno che mai barando.
Il poianella è tuttora considerato l’ultimo galantuomo del due, quello che più di tutti incarna la parte del comandante mediamente fortunato. Esso aspetterà pazientemente il momento in cui le carte gli daranno la possibilità di chiamare e di vincere a mani basse. Egli sa, che il suo turno arriverà e si mette tranquillamente in attesa barcamenandosi fino al momento in cui potrà mettere tutti a tacere e rimettere almeno in parità il proprio bilancio.
La carriera del giocatore costellata di successi, è stata condizionata dai frequenti infortuni che lo costringono troppo spesso a dare forfait. Il giocatore è conscio che a causa degli infortuni e dell’inadeguato allenamento, non ha nelle gambe gli interi novanta minuti e molto spesso questo diventa un handicap per lui. Ciò nonostante, il poianella cerca di ovviare al problema, cercando di concentrare tutto il suo gioco nelle prime mani dell’incontro riservandosi di tirare i remi in barca e di controllare la situazione, allorché il fisico comincia a venire meno e le forze ad abbandonarlo. Egli è un assoluto sostenitore del salutismo e per questo motivo, anche per cercare di prolungare la sua carriera ha deciso di smettere di fumare e di bere, mangia poco e con parsimonia e non disdegna di ricorrere ad integratori farmacologici.
In molti hanno ricercato nell’uso di farmaci il tallone d’Achille del giocatore, insinuando il dubbio del doping. La strana sonnolenza che colpisce il giocatore verso la fine degli incontri, aveva fatto pensare all’abuso di sostanze stupefacenti, più che a stanchezza. Le controanalisi, hanno sempre però smentito questa ipotesi. In realtà, pare che tale appannamento dei riflessi sia dovuto ad uno strano esercizio cui il giocatore si sottopone giornalmente, spostando a braccia un pesante automezzo dalla strada alla rimessa e viceversa.
«Si tratta di un metodo di allenamento che ho appreso dal mio nuovo personal trainer Sal-ah-Madonn e che gli è stato tramandato dai suoi antenati del deserto: i Touareg.» ha affermato l’interessato dopo aver sbandierato per l’ennesima volta il risultato negativo delle analisi ematologiche.
Di indole pacifica e ben educata, il poianella evita accuratamente gli scontri sia verbali sia fisici, mantenendosi sempre ai margini della contesa. Difficilmente si lascia coinvolgere in questo genere di discussioni, anche se l’individuo ha una certa avversione per le giacchette nere e fischietto. Gli arbitri? Chiederete voi. Nienteaffatto! L’astio del poianella è rivolto a tutt’altro genere di giacchette nere: i vigili urbani. Con questa categoria ha creato un rapporto conflittuale, che lo costringe spesso a pagare pesanti sanzioni e squalifiche. Specialmente, quando viene molestato al mattino presto, al momento della prima colazione.

Il rookie.
Mi rendo conto che chiamare ancora Rookie (pivello) una persona di oltre trentacinque anni, dedita a questo sport a livello semiprofessionistico da almeno quattro anni, può sembrare provocatorio o addirittura denigrante. Il due però è questo, e non è semplice cambiarlo. Probabilmente egli rimarrà con questo nomignolo fino a quando qualcuno nuovo riuscirà ad inserirsi nel gruppo e si vedrà investito della nuova carica di pivello. In un ambiente cristallizzato, come quello della briscola a chiamata, infatti, è molto difficile togliersi di dosso i nomignoli che accompagnano buona parte della carriera.
In ogni caso, questo prestante giocatore è entrato nel gruppo come riserva di chi vi scrive e, dopo essere stato ritenuto idoneo non ne è più uscito, ritagliandosi mano a mano un po’ di posto nel tessuto sociale della società. Essendo fratello del grande Grandangolo ne ha ereditato le doti principali, non riuscendo però ad emulare il consanguineo nella visione globale di gioco e nell’applicazione della vista periscopica. Si tratta di un giocatore che può considerarsi all’inizio della carriera e che, ha tutte le carte in regola per riuscire ad ottenere la continuità, che l’illustre parente non ha saputo mantenere.
Già dalle prime uscite si è dimostrato a suo agio specialmente nel gioco di rimessa, nel quale può sfruttare appieno le sue qualità fisico psichiche ed infastidire fior di giocatori. Utilizzando ad arte le qualità del fratello maggiore, potrà di sicuro ambire a prestigiosi traguardi.

Io.
La cosa più complicata quando si scrive, credo sia il fatto di dover scrivere di se stessi: di doversi descrivere, e soprattutto di farlo riguardo il modo di giocare. Immaginiamo Del Piero dopo una partita giocata così, così a dover definire la propria prestazione e di doverlo fare con un foglio ed una penna. Si metterebbe al tavolo con un bel bicchierone dell’acqua del campione, ed in compagnia del suo alato amichetto comincerebbe a scrivere.
“BEH, HO GIOCATO BENISSIMO E…” poi ripensandoci appoggerebbe la penna al tavolo e come rivedendo mentalmente la partita comincerebbe a pensare:
“certo se quella palla invece che calciarla al volo la avessi passata a Pessotto che era più libero di me… se non fossi finito sedici volte in fuorigioco.” Allora, scuotendo la testa subito imitato dall’uccellino, straccerebbe il foglio e ricomincerebbe:
“BEH, HO GIOCATO BENE, AVREI POTUTO ANCHE SEGNARE SE QUEL CAVOLO DI PORTIERE…”
«Mamma?! Si può scrivere quel cavolo di portiere?»
«Mangia!»
ed il confuso Del Piero avrebbe stracciato il foglio e ricominciato da capo ancora una volta.
“BEH, HO GIOCATO QUASI BENE. SOLO LA SFORTUNA CHE SI ACCANISCE CONTRO DI ME…”
quando il piccolo passero scuotendo la testa lo avrebbe convinto a ricominciare ancora dall’inizio.
“HO GIOCATO! E DI QUESTI TEMPI È GIÀ TANTO…”

No! Io non possiedo un uccellino consigliere (a parte quello che… non ho intenzione di scendere in questi particolari) e mia mamma, non avrebbe mai avuto bisogno di ordinarmi di mangiare. Quindi, non se ne parla di mettermi in difficoltà. La descrizione me la invento io. Come gioco e che carriera ho fatto, lo decido io.

Dueisticamente cresciuto nelle giovanili di Peregallo a fianco del Presidente ho contribuito alla conquista di molti trofei e mi ritengo secondo solo al grande maestro, mahatma del Due Cagnolati. Con lui ho condiviso per un paio di anni il DUE d’oro conferito da France DUEball. Sono da considerare con il cassiere, il presidente ed il campionissimo uno dei soci fondatori dell’associazione che ci permette periodicamente di cimentarci in partite di briscola a chiamata. Solamente un virus fetente che ha mandato in tilt l’intero centro meccanografico della DUEfa, mi ha impedito di trionfare lo scorso anno e di aggiungere la coppa di cristallo ad un palmares di tutto rispetto.
Già che ci sono posso aggiungere di avere vinto un paio di campionati mondiali di automobilismo. Di detenere il record dell’autodromo nazionale di Monza, con un tempo invidiabile sul giro di 45,” e di avere eseguito a nuoto la traversata da Livorno all’isola d’Elba.
Da qualche tempo sono sposato con Claudia Schiffer, dopo che ho convissuto per tre anni nella stessa casa con Elle McPerson e Naomi Campbell. Anzi, quest’ultima l’ho presentata io a quel poveraccio di un Briatore. A proposito della venere nera, a causa sua e del suo carattere di merda, ho dovuto fare a botte con un suo amico che le aveva fatto una scenata di gelosia. Sono stato costretto a dargli un paio di pugni ed a redimerlo a più docili consigli, anche se in fondo quel Mike Tyson non aveva tutti i torti.
Ecco, mi sono presentato: questo sono io. (Anche se sembro Ivan.)


Sandrolone:
Genio e sregolatezza! Giocate sopraffini e cazzate colossali compiute sempre con lo stesso stato d’animo. Questa è la definizione più adatta al giocatore in oggetto. Un uomo che, alla sua professione non ha mai voluto sacrificare niente, meno che mai il “peloso” unico vero interesse della sua vita.
Figlio di una generazione irruente (ed un po’ stronza), che non ha saputo resistere alla tentazione di lasciarsi travolgere dal fenomeno “droga,” Sandrolone ha saputo opporsi soprattutto grazie al suo unico ed inconfessabile Dio: la figa.
Mentre i suoi coetanei si riunivano per “farsi una storia” o per una colletta da dedicare a qualche grammo di fumo o di altre cose con non mi va neppure di nominare, il nostro futuro campione con il suo amuleto ben stampato in mente, riusciva facilmente a respingere ogni tentazione. Crescendo, intuì quanto doveva a quella cosa che lo aveva sempre protetto e le giurò eterno amore.
Sandrolone, quando ancora si chiamava Sandrino (una quarantina di chilogrammi fa) esordì nelle partite con dei pregevoli risultati e le prospettive di una brillante carriera. Egli giocava al fianco del più celebre Cagnolati, che seguì con molta gioia al Benfica (ma va?!)
Seguendo le orme del leggendario compagno di squadra, il nostro eroe avrebbe avuto spianata la via del successo se non avesse seguito il richiamo della sua religione. Così, tra un’assenza e l’altra Sandrino si presentava sorridente e sfinito agli allenamenti ed il suo rendimento in partita ne era negativamente condizionato.
Di indole decisamente fortunata però, il giocatore fu raramente messo in discussione, visto che alla squadra bastava l’illuminata classe del compagno a coprire il suo scarso rendimento.
In questo periodo sono da menzionare gli “allenamenti particolari” tipici dell’adolescenza. Il problema è semmai che tali allenamenti erano più rivolti alla religione-hobby che alla professione di giocatore. Vanno citati, infatti,:“l’indifferente maneggio dell’attrezzo” una volta che il padre entrando per sbaglio in camera sua lo aveva sorpreso a fars… ad allenarsi. Oppure la storia di strane macchioline bianche sulle lenzuola del suo letto, mostrategli in maniera interrogativa dalla mamma, prima di fare il bucato. Lo strano, era semmai, che dopo il lavaggio, le lenzuola erano tornate al colore originale: il bianco.
Finita anzitempo l’avventura portoghese con il Benfica, Sandrone che ormai era diventato più robusto, si allontanò per un po’ dal gioco ripresentandosi solo saltuariamente. Il successo, un po’ di soldi e… beh quell’altra cosa ce l’ha avuta sempre in testa, hanno trasformato la grande promessa del Due mondiale in un semplice e geniale giocatore amatoriale.
Egli ora si presenta solo sporadicamente alle partite, mancando di continuità e di risultati, magari sfoggiando look sempre più strani. Capelli color platino, capelli neri e lenti a contatto verdi ramarro… tutto quello che serve per confermare l’eccentricità del suo carattere e per aiutarlo a cuccare.
L’uso di integratori farmacologici, primo fra tutti il Viagra, del quale è diventato testimonial mondiale, hanno ancora una volta modificato il nome del campione, trasformandolo in Sandrolone (dal nandrolone di cui non si vergogna di avere fatto troppo spesso uso.)

King:
Non si tratta del famoso Stephen, anche se la sua fama è almeno paragonabile a quella del grande scrittore. Si tratta invece di un predestinato. Un giocatore con la G… ma che scrivo G… almeno con la GI maiuscola.
Le prime notizie sul suo conto, si perdono nella notte dei tempi. Voci ben accreditate giurano che sia stato tra i primi a sfruttare lo strapotere fisico di Centaurus, giocando a ripetizione il suo nome negli antichi botteghini della Snai. King, certo delle qualità velocistiche del campione si era dato da fare per cercare di dirottarlo negli ippodromi anziché nei campi di gara. Purtroppo, scontrandosi con poteri molto più forti di lui (Cerberus su tutti) dovette desistere.
Furono anni duri quelli, per il nostro campione, costretto a puntare su Centaurus che giocava nella squadra rivale a quella per la quale tifava. Il conflitto tra gli interessi economici e quelli del cuore, finì per fiaccare la resistenza di King che si vide costretto a dirottare le sue attenzioni verso altri interessi. Del periodo seguente ci sono solo brevi tracce, sempre legate a successi sfiorati per il classico pelo di… beh, non vorrete farmelo scrivere ancora una volta. Tanto lo avete capito che pelo è.
Adattabile ad ogni tipo di competizione King è di sicuro l’archetipo di ogni tipo di giocatore mai apparso sulla faccia della terra. Piuttosto discontinuo, King ha diviso la sua passione tra il biliardo e le carte, preferendo però quei giochi con 108 carte a quelli con le canoniche 40. Si è distinto in queste due discipline vincendo a ripetizione tornei e gare diventando un grande promotore dell’ingresso delle stesse nel panorama olimpico. Dopo essersi battuto per ottenere l’entrata del ramino tra le competizioni olimpiche ed avere insistito per poter inserire il biliardo anche in quelle invernali, il nostro campione vide la fortuna voltargli le spalle. King scoprì, infatti, di essere afflitto dalla famosa sindrome di “Bergkamp.” Impossibilitato a causa di quella bizzarra malattia a spostarsi in aereo per raggiungere il luogo in cui si tengono le gare, ha visto ridimensionarsi in un solo istante la sua carriera e le sue aspettative di vittoria. La sua fama in ogni caso non è calata, nonostante sia stato costretto a disertare le gare più importanti. Questo perché grazie al suo forte carattere ed alla sua profonda autostima, King è stato in grado di sopperire alle avversità che la fortuna, sua nemica acerrima, si è ostinata a mettergli contro.
Così, nonostante una tris da 4 milioni di lire sfumata perché il terzo cavallo della sua puntata è stato battuto al fotofinish da un altro con la lingua più lunga. Oppure perché il Poggibonsi dato sconfitto nel derby con il Monteriggioni, è andato a pareggiare al 111° minuto del tempo regolamentare su autorete del guardalinee di sinistra, non gli ha permesso di completare l’elenco delle venti partite azzeccate: quello che lo avrebbe autorizzato a ritirare al botteghino gli 11milioni spettanti per la scommessa. King, però è sempre rimasto in piedi guadando in faccia la sfiga, sua acerrima avversaria con la solita fierezza.
«Tanto, la prossima volta vincerò io!»
Sono piuttosto famose alcune delle sue gare in territorio elvetico, specialmente quelle disputate a Lugano. La ridente cittadina sull’omonimo lago, raggiungibile anche via terra è, infatti, diventata la seconda patria del nostro eroe, dove può vantare enormi schiere di tifose pronte a tutto per lui.
In queste partite, cui ha potuto partecipare senza problemi, nelle quali la fortuna non ha potuto metterci il becco, King ha potuto dimostrare tutto il suo vero valore.
Dopo avere dato a destra e a manca, lezioni di scopa d’asse ed avere maturato la sicurezza interiore di non avere più nulla da imparare in quel gioco, King ha voluto cimentarsi nella nobile arte del 2.
Il suo arrivo in squadra non ha potuto passare inosservato. Un giocatore con quella fama e quel curriculum vitæ non avrebbe potuto inserirsi nella squadra senza attirare l’attenzione dei media. Il suo rapporto di amicizia con il Campione, ha agevolato qualora ce ne fosse stato bisogno, il suo inserimento.
Il suo stile di gioco innovativo rispecchia completamente il carattere. Come nella vita, anche nel gioco King tende a sfidare apertamente la sorte, senza temere di andare incontro alla sconfitta.
«Preferisco chiamare il due avendo solo donna e re, perché così ho più possibilità di beccare qualche briscola alta.» E’ una delle sue massime più in uso. Una filosofia di gioco, che per ora non ha portato ai grandi risultati sperati e che lo ha sottoposto a qualche critica di troppo.
«Ho chiamato anche senza carte perché non posso rimanere un’altra mano a guardare senza briscole.» E’ un’altra perla del suo modus vivendi.
«Non mi preoccupano i risultati per ora. Sono il migliore di tutti, e questo credo si sia visto. Il gioco c’è ed è come una formula matematica: prima o poi mi renderà giustizia.» E’ la risposta che King non disdegna di dare a chiunque provi a mettere in dubbio le sue capacità.
La spregiudicatezza delle sue chiamate unita alla bizzarra interpretazione delle partite, oltre che al suo modulo tipico: 1-1-9, lo hanno portato alla conquista dell’ambito cucchiaio di legno. per nulla scoraggiato dal risultato, King impugnando il trofeo come se fosse uno scettro, ha assicurato.
«Entro dicembre, il migliore sarò ancora io.»

Sentenza:
Si tratta di sicuro di un tipo di giocatore anomalo. Uno di quelli sempre in grado di stupire: sia nel bene, sia nel male.
Arrivato alle luci della ribalta di questo gioco in età crepuscolare, quando ormai nessuno avrebbe scommesso su di lui, Sentenza ha avuto il merito di sapersi adattare. Conscio di quei limiti che non gli avrebbero permesso di lottare ad armi pari contro avversari più giovani, ha saputo con l’esperienza e l’inaspettata agilità sopperire ai limiti fisici. Così, pur iniziando l’attività agonistica, quando invece avrebbe dovuto essere in età pensionabile, è stato in grado di ritagliarsi un posto importante nella squadra. Nel suo gioco, non disdegna di ricorrere alla sacra ed importante del briscolino di rinterzo (o stopacü che dir si voglia). Il suo aspetto mite, non deve trarre in inganno, infatti, lui non si preoccupa di disdegnarne l’abuso. Fastidioso come un foruncolo sul sedere di un ciclista che rischierà di farsi tutta la Tirreno – Adriatico in piedi sui pedali, perché impossibilitato ad appoggiare le chiappe alla sella, Sentenza non mancherà di mettervi il briscolino davanti.
Per partito preso, egli è completamente contrario alla sporca non perdendo ogni volta che gli è possibile l’occasione di prendere le distanze da chi la utilizza. Dotato di memoria elefantesca, memorizza quando viene fregato da questa mossa così contraria alla sua filosofia di vita, e difficilmente ricasca nell’errore.
«Avrò anche perso la partita, ma io il carico a quell’imbroglione non gliel’ho dato.»
«Ma guarda che questa volta lui era con te!»
«Sì! Ma tre anni fa a Natale lui mi ha fregato in questo modo…»
Sentenza deve il suo nome alla straordinaria capacità di avere al momento giusto, la briscola giusta:
Se avete chiamato e vi manca la donna di picche per essere sicuri di vincere… lui ce l’ha! Se c’è una sola carta che può cambiare le sorti della partita e lui è l’ultimo a giocare… state tranquilli, puntuale come una Sentenza, quando sarà il suo turno calerà la maledetta carta che vi farà perdere.

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