sabato 6 marzo 2010

CAPITOLO UNO

In principio:



Tutti noi sappiamo, almeno una volta nella vita ne abbiamo sentito parlare, di come Dio in principio creo la terra. Decise di separare la luce dalle tenebre e creò il firmamento. Insomma, per farla in breve, nel giro di una settimana, Nostro Signore ci ha dato dentro ed ha fatto tutto ciò che era necessario per portare la vita sulla terra. Possiamo dire, senza offendere nessuno che, di giorno si dava da fare a mettere al mondo terra, acqua, aria, piante e via dicendo, poi, la sera prima di riposarsi e rilassarsi, si guardava indietro e si auto convinceva che tutto il suo prodotto “era cosa buona” compiacendosi.
Quello che invece, pochi sanno o se preferite quasi tutti ignorano, è quanto succedeva a Dio, subito dopo essere rincasato dalla lunga giornata lavorativa. Una vera noia. Niente televisione con relativo televideo, niente gazzetta dello sport, neppure uno straccio di moglie pronta a dirgli:
“Ah sei già arrivato! Dammi una mano a stendere i panni, poi scendi in cantina a prendere il vino.”
Insomma: niente di niente. Una noia, magari anche divina, ma totale.
Così, più per ingannare il tempo che per la reale convinzione di creare qualcosa di buono, gli venne l’idea di forgiare il primo mazzo di carte. Le numerò da uno a dieci, cogliendo l’occasione per inventare anche i numeri, e le divise in quattro famiglie. (divennero semi, solo molto più avanti). Utilizzò per lo scopo dei piccoli rettangoli di sasso, (molti secoli dopo, queste furono riscoperte e comunemente chiamate “piastrelle,”) che in seguito, per ovvi motivi legati alla difficoltà di mescolare tali carte da gioco, l’uomo cominciò ad assottigliare sempre di più.
Il suo primo impatto con le carte fu strano. La prima cosa che volle fare, fu il più classico dei castelli riuscendo con estrema facilità a completare l’opera. Del resto con carte spesse anche un centimetro e con il suo enorme potere che non esitava ad utilizzare ogni qual volta ne avvertiva la necessità, erigere un castello di carte non era certo un compito proibitivo. Difatti, dopo aver messo in piedi l’ennesima costruzione ed aver pensato: “anche questa mi è venuta da Dio!” cominciò a perdere interesse verso il nuovo passatempo. Segno inequivocabile che, quello non sarebbe stato l’unico modo per utilizzare il mazzo di carte.
Dio si trovò così in breve costretto ad inventare alcuni solitari, pur di vincere la propria solitudine. Anche in questo caso però, non raggiunse appieno lo scopo che si era prefissato. Ogni volta, pur modificando le regole per rendere più avvincente il gioco, questo immancabilmente gli riusciva. Gli bastava pensare: “adesso mi serve un sette”, per trovarselo regolarmente non appena pescata la nuova carta. Era più forte di lui: non riusciva a fare ameno di pensarlo e di conseguenza di farlo. Tra l’altro, il vendicativo Dio dell’antico testamento, qualora non fosse riuscito, anche solo per una volta a completare in maniera vittoriosa il gioco, sarebbe montato su tutte le furie ed avrebbe come minimo incenerito l’intero mazzo di carte. Questo lo sapeva anche Lui, e forse inconsciamente, la cosa bastava per impedirsi di perdere.
Poi, stanco di dover giocare da solo, e sentendosi pronto per sfidare qualcuno, decise che era giunto il momento di mettere al mondo il primo essere umano. Raccolse un pugno di terra; la rese lavorabile sputandoci sopra; modellò il primo essere umano: Adamino… no, quello arriverà molto tempo più tardi. Ricominciamo: allora, con della terra, impastata con degli sputi plasmò a propria immagine e somiglianza il capostipite di tutta la generazione umana: Adamo. (ecco, così è un po’ meglio.) Nella bibbia alla creazione di Adamo viene data molta rilevanza, voci autorevoli però, raccontano anche ulteriori particolari. Sembra, infatti, che ad opera conclusa, non trovando di particolare gradimento le fattezze di Adamo, Dio non fosse resistito alla tentazione di sputare di nuovo in faccia al neonato. Questo, proprio nell’istante in cui egli sbadigliando aveva deciso di aprire per la prima volta gli occhi.
«Scusami, credevo di non avere ancora finito di costruirti…» Si affrettò a dire Dio, mentre l’altro, ancora non in grado di proferire parola, si limitò a pensare:
“cominciamo bene!”
E Dio allora insegnò al nuovo arrivato a distinguere il giorno, dalla notte (i soliti bene informati (chiamiamoli pure pettegoli) assicurano che per fare questo, Nostro Signore usasse svegliare di colpo il poverino per fargli notare la differenza tra le due cose), il buono dal cattivo e così via. Adamo imparò a parlare e ad esprimere i primi concetti.
Quello che Dio dimenticò, almeno all’inizio, fu di spiegare il significato dei numeri scolpiti sulle carte. Per questo, nelle partite iniziali, il primo avversario del Padreterno trovò molte difficoltà:
«Sei e due, quattro!» Esclamò il poverino, cercando di fare sua una mano, durante una delle prime partite a scopa.
«No! Te l’ho già detto. Con quel quattro di pere, non puoi certo prendere. Io posso. Due e sei, me li pappo io con il sette bello! Così faccio ori, settebello, primiera e dieci di napola.»
«Come siete bravo capo! Insegnate anche a me a giocare in questo modo.»
Ben presto però, Dio si stancò di vincere anche in quel modo. L’avversario era senza dubbio meglio dei solitari, ma la sostanza non cambiava. Già era particolarmente poco capace, se poi si aggiungeva il fatto che, era diciamo, facilmente raggirabile… il divertimento andava a farsi benedire.
Il mazzo di carte che Dio aveva messo a punto, prevedeva una numerazione da 1 a 10 con le seguenti famiglie: margherite, mele, pere, e sassi. Nel gioco della scopa, il primo ad essere inventato, gli ori erano rappresentati dalle mele. Un seme, anzi una famiglia che, come avremo poi modo di vedere stava molto a cuore a Dio.
Come condizione di miglior favore, e soprattutto, per rendere un po’ più interessanti le partite, finalmente anche Adamo fu erudito. Gli furono spiegati i significati dei numeri e la logica di appartenenza delle famiglie (semi). Il ragazzo si applicò, tanto che in breve tempo riuscì a rendere meno semplici le continue vittorie del Signore. Per la verità, lo score tra i due era ancora completamente sbilanciato dalla parte di Dio, ma almeno c’era una parvenza di combattimento che, riusciva da sola a ripagare la voglia di divertimento.
Fu intorno alla duemillesima partita, quando con una mossa ardita Adamo riuscì a mettere a segno un buon colpo:
«tre e quattro, sette. Scopa! E con questi, credo di essere arrivato a ventuno.»
Fu allora, che Dio manifestò con un violento fulmine e relativo tuono tutto il suo disappunto per l’inaspettata prima sconfitta:
«Tu… tu… come hai osato?»
«Padre. Si ricordi di quello che mi ha insegnato. Non diceva che l’importante è partecipare?» Mormorò con un filo di voce Adamo, guardandosi intorno per cercare un’eventuale via di fuga.
Dio resistette alla tentazione di incenerirlo. Decise di farsi forza e di passare sopra all’onta della sconfitta. Anzi, decise che l’ardimentosa impresa del primo uomo, avrebbe dovuto essere in qualche modo premiata.
«Certo, certo!» Esclamò allora Dio ritrovando chissà dove la sua proverbiale calma. «Hai vin.., hai vint… beh insomma, questa partita, diciamo che non l’ho vinta io. Certamente hai avuto un cul… volevo dire hai avuto un po’ di fortuna, ma ci sta! Ci può stare che qualche volta tu possa… sì volevo dire ci sta, che possa finire in questo modo. Per questo ho deciso di darti un premio.»
Senza aspettare che Adamo si potesse riprendere dalla sorpresa, gli affondò due dita nel costato e con un colpo secco gli spaccò una costola.
«Ahia!!! Ma che ca…»
«Zitto! Sto per darti il tuo premio!»
Con la costola di Adamo, Dio in un batter d’occhio modello il secondo essere umano. Esso era più piccolo e con un corpo più arrotondato. Decisamente più gradevole alla vista.
«Porcaccia Eva, ma sei impazzito!» Esclamò l’uomo massaggiandosi il costato.
«Eva?! Sì, mi piace! Lei si chiamerà Eva.»
«Eva?! Chi il… la… questo coso qui rosa con i capelli lunghi?»
«Donna! Lei è Eva, la prima donna! La tua donna.»
«E che me ne faccio io di una donna?»
«Ci farai, ci farai.» Sorrise sornione Dio.
Con quel premio, Dio aveva voluto donare al suo unico essere umano un bene prezioso.
“Sì! Qualcuno sempre pronto ad urlarti nelle orecchie cose che non ti interessa sentire. Che ti dice che cosa devi fare.”

Eva si svegliò di soprassalto e per prima cosa rivolgendosi ad Adamo chiese:
«Che cosa fai ancora qua. Non dovresti essere fuori a procurare la legna? E poi, chi deve andare a prendere l’acqua per cucinare? Ah, non crederai che debba essere sempre io a doverlo fare. Non posso mandare avanti questa casa tutta da sola. E poi, ti sembra possibile che io non abbia ancora niente da mettermi addosso?»
«Ma se sei nata solo da due minuti?» Domandò stupito il pover uomo.
«Due minuti?! Mio Dio, chissà quanto freddo ho preso allora. Ecco so già che mi sentirò male. Poi, dopo non meravigliarti se ti dico che mi è venuto il mal di testa.»
Adamo, che non aveva capito nulla, di tutto quello che la donna aveva detto dal momento in cui le si erano aperti gli occhi e purtroppo anche la bocca, guardò disperatamente verso il capo.
«Mio Signore. Io non credo di meritarmi tutto questo, me lo consenta ben di Dio.»
«Sì, mio buon Adamo. Hai vinto, ed hai diritto al tuo premio.» Gli rispose lui sorridendo sotto i bianchissimi baffoni.
«Ma veramente io…»
«Adamooooo! Allora, ti decidi a venire a casa. Devi accendere il fuoco e c’è la spazzatura da portare fuori.»
«Mio Dio. Non puoi farmi questo. Non è giusto.»
«Alloraaaa! Lazzarone ti muovi o no!»
«Andate, andate pure.» Recitò ancora Nostro Signore, con falsa accondiscendenza.
«Dio, io rinuncio. Non mi merito il premio.»
«Adamoooooooo! A casa!» Urlò sempre più minacciosa Eva.
«Non puoi farmi questo, no! Anzi, adesso che mi ricordo, ho barato nella partita di prima. Sei tu che avresti dovuto vincere… io non meritavo…» Cercò di dire il povero e confuso Adamo mentre la donna, decisa a passare dalle parole ai fatti aveva cominciato a strattonare violentemente il suo uomo e lo stava trascinando verso la caverna.
«Andate e moltiplicatevi.» Sorrise il Padreterno benedicendoli dall’alto.

Dopo avere assorbito l’impatto abbastanza brusco con Eva, il povero Adamo si trovò ad avere come unico momento di svago le ore che poteva trascorrere a giocare a carte con Dio. Quella era diventata l’unica occasione in cui, l’uomo riceveva l’autorizzazione a lasciare la caverna senza di lei. Spesso per la verità, Adamo era costretto a portarla con se quando si recava a giocare; ma al cospetto del Grande Capo, la donna pareva trasformarsi ed accontentarsi di rimanere in disparte a raccogliere i fiori o a giocare nei prati.
Un giorno come gli altri, Dio rompendo gli indugi mise Adamo al corrente della sua nuova idea:
«Sono stanco di giocare a carte solo con te! Ho pensato ad un gioco nuovo che deve essere una vera bomba. Uno di quelli, in cui si può giocare in cinque, o magari anche in sei. Un gioco nuovo, dove tu puoi essere in coppia con me, oppure contro. E tutto si stabilisce durante il gioco.»
Adamo annuiva fingendo di capire. A parte che, Dio stesso stava facendo un po’ di confusione nel cercare di spiegargli le regole del nuovo gioco, l’unica cosa che aveva afferrato, era solo che avrebbero dovuto esserci almeno altri tre giocatori. Inorridì quando gli venne in mente la pazza ipotesi che potesse essere Eva uno degli altri tre. Già si vedeva, negli unici momenti di pace di cui poteva disporre, con la donna che gli urlava di giocare quella o l’altra carta e che gli fracassava i testicoli anche nell’unico momento in cui poteva sperare di stare un po’ tranquillo.
«Non mi sembra una grande idea!» Sentenziò quasi senza accorgersi scatenando la reazione di Dio.
Ci fu un breve diverbio. A dire il vero l’unico a parlare, anzi ad inveire verso il povero Adamo che era rimasto zitto a sentire lo sfogo, era stato Dio. Ma la rabbia di quest’ultimo si era placata quando aveva compreso che più che criticare la sua idea, il poverino stava solo opponendosi all’eventuale partecipazione di Eva alle partite.
«Ma sei pazzo! Il gioco che ho in mente non potrà essere giocato da una come quella. Ci vorrà più testa per poterlo fare.»
«Scusi ma, qua ci siamo solo noi due… e lei.»
«Lo so! Io però, avevo pensato ad alcune mie conoscenze. Vorrei invitare a giocare gli Arcangeli Gabriele e Michele, più il signor Snake.»
Dio allora, provò ancora a spiegare al primo uomo le regole del gioco assicurandogli che sarebbe stato molto divertente.
«Ma, dura tanto?» Chiese senza troppa enfasi Adamo.
«Oh, hai voglia! Anche dieci, quindici ore.»
«Che bello! Quando si può cominciare?» Chiese con rinnovato entusiasmo l’uomo. In realtà a piacergli non era tanto il gioco di per se, anche perché delle regole ci aveva capito poco o niente, quanto l'idea che per una decina di ore avrebbe potuto sottrarsi alle grinfie di Eva. E tutto questo senza che lei potesse lamentarsi o contestare.

La prima partita, fu organizzata alla fine della settimana seguente. I cinque giocatori si disposero sul tavolo con il seguente ordine: Dio a capotavola, l’Arcangelo Michele alla destra del Padre, poi Mr. Snake, un individuo di sicuro molto strano, quindi a seguire l’altro Arcangelo ed Adamo.
Dio prese la parola e spiegò le regole che aveva deciso, e porse il mazzo di carte direttamente nelle mani dell’unico uomo presente per farle mescolare. Poi diede inizio alla partita.
Si trattava di un evento storico in quanto per la prima volta cinque giocatori si cimentavano in quello che poi sarebbe divenuto il gioco di carte più avvincente del mondo, ed il cast era di sicuro eccezionale. A parte la presenza del Padreterno, che da sola sarebbe bastata a dare prestigio all’incontro, anche gli altri partecipanti sembravano essere agguerriti e molto preparati. Beh, c’era in loro qualche piccola lacuna: l’Arcangelo Michele ad esempio, balbettava vistosamente e questo, soprattutto in fase di chiamata, rompeva notevolmente il ritmo della partita. Mister Snake, invece aveva alcune particolarità che erano interessanti ed al tempo stesso inquietanti. Esso usava ondeggiare continuamente la testa e mormorava sibili molto acuti che finivano per provocare dei brividi alla schiena del povero Adamo. Il peggiore di tutti però, era di sicuro Gabriele. A parte l’enfasi con la quale accompagnava ogni sua chiamata, sempre preceduta da una lunga “annunciazione,” questi non appena riceveva delle carte interessanti, cominciava a sbattere le ali facendo cadere il povero Adamo dalla sedia.
«Chiamo un dieci!» Cominciò con decisione Nostro Signore, aprendo le danze.
«Io in… in… io invece… io chia…chia… per me sta bene!»
Riuscì a dire Michele dopo un lungo tentativo. In realtà, con le carte che si ritrovava, avrebbe potuto abbassare la chiamata precedente, ma l’unica cosa che gli era riuscito di dire senza balbettare fu quello.
«Un ssssssssssssssssei!!!» Sibilò sinistramente Mr. Snake obbligando ancora una volta Adamo a digrignare i denti.
«Annunciazione! A tutti voi presenti mi permetto di rendere pubblico che avrei intenzione di scendere al quattro!» Esclamò Gabriele dando una violenta spinta con l’ala destra al vicino facendogli cadere le carte per la terza volta.
Adamo passò e Dio decise di rompere gli indugi e scese al due. Nessuno volle o semplicemente osò scendere oltre, quindi fu lasciato al Padreterno il compito di scegliere la famiglia del due chiamato.
«Chiamo il due di Pere!»
Il violento vorticare di ali, del vicino di posto levò immediatamente ad Adamo qualsiasi dubbio su chi potesse essere il socio di Dio. L’imbarazzato Gabriele, avrà avuto anche una laurea di specializzazione in “annunciazioni,” ma per tutto il resto non sembrava essere moto afferrato. Il fatto di essere contro Gabriele, non era la sola bella notizia per Adamo, che avendo tra le sue carte addirittura l’asso ed il nove di pere, era abbastanza sicuro di vincere.
Dio raccolse la prima mano totalizzando otto punti e perse la seconda che fu raccolta da Adamo con il nove: Michele giocò l’asse di mele, Snake quello di sassi e Gabriele con il solito starnazzamento doloso calò con sicurezza l’otto. Fece ancora cadere il vicino che alzandosi inveì contro di lui.
«E stai un po’ attento tacchino!» Esclamò Adamo calando a sua volta il nove e gelandogli il sangue nelle vene.
Avevano totalizzato ben ventisei punti. Ed aveva ancora l’asso da giocare.
Ripresero la partita e questa volta Michele riuscì con il dieci a mettere insieme altri diciotto punti. Adamo sorrise: a parte che Dio, con ogni probabilità si era sopravvalutato chiamando senza avere delle belle carte, ora con quarantaquattro punti nel carniere, gli sarebbe bastato attendere un solo carico per chiudere la prima partita. Guardò alla sua destra ed incrociò lo sguardo attento di Dio che lo fissava.
«Mi spiace Padre, ma questa volta credo che non ce la farai…» Gli sussurrò amichevolmente.
«Gioca!» ordinò perentorio Dio, cancellandogli subito il sorriso.
Michele giocò il dieci di sassi e Snake il nove di margherite. Adamo sapeva che prendendo avrebbe chiuso in anticipo la pratica, si stava chiedendo se sarebbe stato il caso di calare l’asso o se sarebbe stato meglio aspettare oltre, quando alla sua sinistra Gabriele lasciò cadere sul tavolo l’asso di margherite. Sicuro di se, Adamo scelse tra le carte il suo asso di pere e lo calò sul tavolo.
«Con il mio asso siamo a settantadue! Abbiamo vinto!»
«Non credo!» assicurò con molta calma Dio mettendo sulla tavola una strana carta. Questa era come ricoperta di una sostanza nebulosa che impediva di potere vedere di che cosa si trattasse, poi, quando la nebbia si dissolse lasciò scoperto un asso di pere con una “S” rossa in un riquadro giallo.
«Ho il superasse di pere. La mano è mia!»
Adamo rimase basito! Si guardò intorno e vide che l’Arcangelo Gabriele per la gioia era volato più in alto di un centinaio di metri. Fissò davanti a se Michele che con uno sguardo carico di biasimo gli disse, senza la minima sbavatura o difficoltà:
«Ci hai fatto perdere, idiota!»
«SSSSSSSSSSSSSSStai più attento! SSSSSSSSSSStupido essssssssssssssssere!» Sibilò Mr Snake.
Fu allora che Adamo capì che, anche in quell’innocente gioco la sudditanza psicologica aveva la sua parte. Si rese conto che, le sue uniche possibilità di vittoria sarebbero state legate al fatto di essere il socio del Padreterno.
«Avete giocato… direi da Dio, si avete giocato una partita proprio da Dio!» Cinguettò Gabriele dopo avere ripreso il suo posto al tavolo da gioco.
Frustrato da quella partita, deriso e rimproverato dai compagni e abbastanza disgustato dall’atteggiamento viscido dell’Arcangelo Gabriele, Adamo scoprì che forse avrebbe preferito passare la serata con Eva, piuttosto che con loro. Si voltò e la vide correre leggiadra nei prati intenta ad inseguire chissà che cosa, forse una farfalla, ed ebbe la tentazione di alzarsi e di imitarla abbandonando il gioco. Poi ebbe la visione di lei, la mattina quando gli urlava nelle orecchie a non più di tre centimetri di distanza:
«Adamooooooooo! Che fai? Tra un po’ sarà di nuovo chiaro e tu dormi ancora? Vai a prendere della nuova acqua che mi devo lavare. Ricordati che dopo dovrai passare a prendere il pane, e che più tardi ci sarà da sbrinare il frigorifero.»
Ora, a parte che ignorava completamente che cosa mai potesse essere un frigorifero e che cosa volesse dire sbrinarlo, la breve visione che aveva avuto fu di sprone per continuare a giocare:
«Il mazzo sta a me?» Chiese raccogliendo le carte dal tavolo.
«No! Credo che ssssssssssssia il mio turno adessssssssssssssssssssssssso.»

Il suo ruolo nelle partite non era di sicuro il massimo cui potesse aspirare, questo Adamo lo capiva da solo. Però tutto sommato con poco sforzo avrebbe potuto fare felice il Principale e tirare avanti un’esistenza abbastanza dignitosa. Si non poteva provare a vincere a carte, tuttavia poteva tranquillamente sfruttare tutto quello che quel paradiso terrestre gli poteva offrire. E tutto senza cacciare fuori neppure uno straccio di euro. Non è da tutti, vivere in una specie di villaggio vacanze tropicale come quello, con il solo dazio da pagare di fare vincere qualche partita al capo.
«Non è giusto che tu debba permettergli di averla sempre vinta!» Gli disse una sera Eva, dopo che come al solito lui l’aveva aiutata a riporre le stoviglie dentro la credenza.
«Ma sì! Che cosa vuoi che mi freghi. Lui si accontenta di questo e poi, ci lascia vivere senza altri problemi. Non abbiamo mai pagato l’affitto.»
«È vero! Però, che cosa gli costerebbe farti vincere qualche volta. Poi, ti sei mai chiesto perché non vuole mai lasciarti chiamare il due di mele?»
Eva da qualche tempo aveva cominciato ad insinuare nella mente del suo uomo qualche dubbio ed a cercare di farlo insorgere verso il superiore. Ad onore del vero, a convincere la donna ad iniziare l’opera di persuasione era stato Mr. Snake. Con il suo sinuoso dondolare della testa ed i due occhi gialli, aveva faticato poco a fare breccia nella sua mente e ad indurla come dire, in tentazione.
«Adamo sssì che è un bravo giocatore.» Le aveva sussurrato titillandole l’orecchio con la piccola lingua biforcuta.
«Ma se perde quasi tutte le partite…» aveva replicato lei con la pelle d’oca, a causa dello strano brivido che quel misterioso essere con la pelle squamata, le stava provocando con la linguetta abile e veloce.
«Lo ssso! Lui non vuole dare un fasstidio al sssuo capo.» Il viscido futuro rettile (al momento aveva ancora gambe e portamento eretto), la convinse che se Dio non voleva mai perdere era solo perché in caso di sconfitta, Adamo avrebbe potuto se non prendere il suo posto quantomeno salire di qualche passo nella gerarchia dell’Eden.
«Pensssa! Lui potrebbe diventare il grande capo e tu di consssseguenza essssssere la firssst lady.»
Eva ormai lo stava ascoltando quasi distrattamente. Aveva tutti, ma dico proprio tutti, i peli del suo corpo diritti come degli spaghetti, i capezzoli eretti e tremava tutta. Qualsiasi cosa le dicesse quel serpente, lei si limitava ad annuire ed a ripetere:
«Sì!! Sì!!! Sì!!!»

«Allora promettimi che cercherai di vincere!» Lo incalzò con decisione la donna.
«Ma io non saprei… tutto sommato noi…»
«Ecco! Sei sempre il solito. Io sono qui che mi faccio un mazzo così tutto il santo giorno. E non mi porti mai fuori, se non per accompagnarti alle partite. Mi lasci lì a parlare con le farfalle. Ti sembra una vita da paradiso terrestre questa?»
Poi, prima che il confusissimo e scazzatissimo uomo potesse cercare di risponderle, la donna con voce lacrimante riprese:
«… non ho mai nulla di nuovo da mettermi. Le mie amiche (???) mi vedono sempre con queste tre foglie di fico, che ormai non sono più di moda. Adesso vanno di moda le foglie di trifoglio, ma tu, mai che ti preoccupi di farmi contenta. No! Tu ti preoccupi solo di andare là dal tuo capo e di fingere di giocare a quel cavolo di gioco, per poi perdere regolarmente. E magari poi torni a casa e cerchi di sfogare su di me la tua frustrazione. Sì, ma qua ti aspetto al varco, sai?! Non vuoi vincere? Va bene, ma allora non cercare più di venire qui a fare lo stupido con me. Adesso basta! Troppo comodo arrivare qua e trovare tutto pronto…»
Dopo quasi mezzora di lamentele, Adamo decise di arrendersi:
«Va bene! Va bene. Hai ragione tu…» Disse in maniera remissiva.
«Questo vuol dire che vincerai?»
«Vincerò! Vinceròòòòò! All’alba, vincerò!» No, credo che questa sia tutta un’altra storia e chiedo perdono a Puccini se mi sono permesso.
«Va bene! Ci proverò.» (questo è più corretto)

L’occasione arrivò il venerdì seguente. Dopo una decina di mani regolarmente vinte da Dio, al nostro uomo capitò il momento favorevole.
Dio aveva sempre chiamato, e naturalmente sempre vinto. Anche in quel caso era sceso al quattro con sicurezza. Stava per ordinare il nome della famiglia, quando inaspettatamente Adamo esclamò:
«Due!»
Dio rimase sorpreso da quella uscita ed anche per il fatto di avere ben tre due in mano, aspettò prima di alzare la posta. Lui avrebbe voluto chiamare pere, dove poteva contare sull’asse e sul dieci, ma la presenza del due tra le sue carte lo limitava. Anche gli altri due erano ben messi e sapendo che tutti erano a conoscenza che non avrebbe gradito che qualcuno chiamasse “mele” Dio decise di lasciare perdere. Era sicuro che sarebbe stato una volta tanto “il socio” e che sarebbe stata vittoria lo stesso.
«Per me sta bene!» Disse il Padreterno.
«Ok, allora due di mele!»
Dio diventò scuro in volto tremando vistosamente.
«Si sente bene capo!» Chiese allora Gabriele, dando volontariamente una portentosa alata al vicino.
«E stai attento brutto tacchino!» Lo riprese Adamo, che poi con fare altero e sicuro di se aggiunse: «Allora cominciamo?!»
Adamo giocò il sette di pere ed immediatamente Dio calò l’asse della stessa famiglia. Michele aggiunse un altro carico e Mr. Snake giocò il dieci di mele.
«Quesssta dovrebbe essssere mia!» Mormorò il viscido individuo preparandosi a raccogliere i venticinque punti. Cosa che avvenne, dopo che l’altro giocatore buttò sul tavolo una scartina.
Adesso Nostro Signore era arrabbiatissimo, avendo compreso che il socio era Snake, cominciava ad assaporare il brutto sapore della sconfitta e fissava Adamo trapassandolo con lo sguardo.
Adamo si rese conto della situazione, e comprese che avrebbe avuto ben poche possibilità di sottrarsi alla sua biblica ira. Per questo, non appena il compagno di gioco depositò sul tavolo una scartina, subito imitato da Gabriele, senza alcuna logica giocò il tre di briscola. Raccolse con la sua folle giocata solo dieci punti e pensò che sarebbe rientrato in partita. Cioè, che avrebbe potuto ancora perdere. Giocò l’asse di mele, assicurandosi così almeno quarantasei punti, Dio e Michele si guardarono bene dall’aggiungerne altri, ma quando fu il turno di Snake, questi mise sul tavolo l’asse di sassi. Cinquantasette punti. Cinquantasette punti ed aveva ancora a disposizione sei e otto, una situazione disperata.
Cercando in tutti i modi di perdere, Adamo giocò anche l’otto che Dio con un gesto di rabbiosa violenza sormontò con il nove.
«Adesso questa è mia!» Asserì ricevendo dei punti da parte dei due arcangeli.
Poi, calò sulla tavola il tre di margherite, guardando Adamo in modo da sfidarlo. Snake raddoppiò il carico strozzando con l’asso, ma fu sorpreso nel vedere Gabriele calare il sette di briscola.
«SSSStupido! Ssse non buttavi via tutte quelle brissssscole!» Inveì Snake, che si arrabbiò ancora di più, quando vide poco dopo Adamo giocare il sei di mele gettandolo in pratica alle ortiche.
Adamo esultò dentro di se. Era riuscito nell’impossibile compito di eliminare tutte le sue briscole, raccogliendo il minimo indispensabile. Ora la sconfitta era più che mai vicina. Dio avrebbe vinto la sua partita, ed il massimo che gli sarebbe potuto capitare era dover ascoltare le lamentele di Eva. Niente, in confronto ai presagi di sventura che aveva potuto leggere negli occhi del suo potente capo.
Gabriele giocò il 10 di margherite, Adamo il sette di sassi, Dio il cinque di sassi e Michele dovette calare il quattro di margherite. Quando Mr. Snake giocò il due di mele scoppiò il finimondo.
«Ssssessssantuno!» Sibilò il viscido individuo, e quella fu di sicuro la sua ultima parola.
«Tu! Essere immondo, come hai osato?» Chiese il Padreterno fulminandolo con lo sguardo.
Il cielo di colpo divenne plumbeo e diverse saette lo attraversarono accompagnate da fragorosi e spaventosi tuoni. Uno scenario apocalittico sembrava avere rubato la scena alla solita paradisiaca quiete che aveva regnato nel giardino dell’Eden. Il colore del cielo ed il forte maestrale che si era levato però, erano nulla in confronto allo sguardo severo di Dio. Ci fu un lungo momento, prima che qualcuno si facesse avanti a prendere la parola sfidando in qualche maniera l’ira del capo.
Il primo a parlare in quel crescendo di rabbia e temporali, fu l’Arcangelo Gabriele che si affrettò a dire:
«Annunciazione! Annunciazione! Solo adesso ricordo di avere lasciato il rubinetto aperto sulla mia nuvola. Mi dispiace ma vi devo proprio lasciare!» Si alzò in volo ed incrociando lo sguardo con quello disperato di Michele, aggiunse:
«Annunciazione! Annunciazione! Chiedo che anche Michele venga con me. Non si sa mai, mettiamo che si sia allagato tutto.»
I due con un violento battito di ali si portarono fuori della portata del Signore.
Più in là, Eva vedendo un poco di movimento attorno al tavolo da gioco pensò bene di avvicinarsi. Voleva gustarsi da vicino lo spettacolo della prima vittoria del suo uomo, e con un po’ di perfidia, anche la Divina incazzatura del Padreterno.
«Perché lo hai fatto! Perché hai chiamato mele? Soprattutto il due di mele?»
Adamo, che sarebbe volentieri scomparso se gli fosse stato possibile, cercò rapidamente una risposta da fornire. Pensò di raccontare che la colpa del suo insensato comportamento fosse da addebitare delle radiazioni nucleari, di una condizione di dipendenza inconscia dell’effetto serra dovuto al buco dell’ozono. Si accorse però, di non riuscire a comprendere nulla di tutto quello che gli era passato per la testa e temendo che Dio si potesse arrabbiare ancora di più se avesse raccontato una bugia, spifferò:
«È stata lei! È tutta colpa di quella stronza! Io sarei andato volentieri avanti a giocare senza mai chiamare mele!»
Dio allora voltò lo sguardo verso la donna che presa alla sprovvista, non aspettò che gli fosse rivolta alcuna domanda. Lei alzò il braccio ed indicò Mr. Snake che sorrideva con un po’ di perfidia.
«È stato lui a convincermi che tu non volevi che Adamo vincesse per paura che poi, si sarebbe sentito superiore a te…»
E Dio allora, cambiò ancora una volta la direzione dello sguardo, rivolgendosi truce a Snake:
«Tu hai fatto questo! Allora che tu sia il più maledetto tra tutte le bestie. Tu camminerai sul ventre e mangerai la polvere fino alla fine dei giorni della tua vita. Diventerai il nemico della donna che cercherà di schiacciarti la testa, e tu le insidierai il calcagno.»
Poi, mentre la maledizione si stava abbattendo su Mr. Snake, divenuto a tutti gli affetti un serpente, Dio gli diede il colpo di grazia:
«Diventerai anche il simbolo di una squadra di calcio che avrà l’illusione di poter vincere, ma si ritroverà spesso con un pugno di mosche tra le mani.»
Nessuno dei presenti aveva capito granché dell’ultima maledizione. Nessuno però ebbe la possibilità di gioirne.
«Tu, donna: hai convinto questo povero uomo a disobbedire ai miei ordini. Tu metterai al mondo con molto dolore i suoi figli, sarai la capostipite di tutti gli umani, e diventerai per loro lo sfogo, quando questi saranno arrabbiati.» (puttana Eva, porcaccia Eva ecc. Nda)
Per ultimo Dio si voltò verso Adamo che dopo aver ascoltato le due punizioni, si era illuso di potersela cavare solo con una sgridatina. Non fu così:
«Quanto a te, che hai voluto vincere a tutti i costi. Tu lavorerai con gran sudore e gran dolore. Avrai il potere di dominio sulla tua donna, ma questo sarà solo apparente in quanto lei seguiterà a romperti le scatole fino alla tua morte. Quando sarai grande ti beccherai le code in tangenziale e spesso rimarrai bloccato tra Rioveggio e Barberino del Mugello. Qualche volta persino da Sasso Marconi. Ricordati che polvere sei e che polvere ritornerai.»
Adamo che non aveva compreso appieno l’entità della sua punizione, tirò un sospiro di sollievo. Tutto sommato, pensò di essersela cavata a buon mercato, Eva gli rompeva già le scatole, ed un po’ di lavoro, non avrebbe di certo ammazzato nessuno.
«Va bene! Allora noi andremmo a casa.» Esclamò alzandosi ed accennando a salutare.
«No! Voi non avete più casa. Ve ne dovete andare!» Tuonò il Signore consegnandogli il foglio con lo sfratto.
«Ma mio signore, noi non sappiamo dove andare. Non conosciamo nessuno, nemmeno un motel dove passare la notte, neanche un appartamentino con affitto ad equo canone.»
«Voi dovete lasciare l’Eden entro un’ora!» Affermò deciso il Signore.
«Esagerato!» S’inserì Eva che fino allora era rimasta in silenzio, «di solito, si ha diritto a tenere la camera almeno fino alle dieci di mattina del giorno della partenza.»
Ignorando Eva e le sue minacce di rivolgersi al Touring Club Dio ordinò ai Cherubini di accompagnare i due fino all’uscita del paradiso terrestre. Piazzò un paio di queste celestiali creature alate a guardia del cancello, e fece affiggere sulle inferriate due cartelli rotondi con i ritratti barrati dell’uomo e della donna con la scritta:
“noi non possiamo entrare.”

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