sabato 6 marzo 2010

CAPITOLO NOVE

Il Lessico.
Qua di seguito sono riportate alcune delle frasi celebri che hanno contribuito a fare grande questo gioco e che allietano ogni settimana il buon gioco. Logicamente, mancano tra di esse quelle che già sono state trattate in fase di “giocate” o di “chiamata”, ma tantè.

Ta set un bon no! insultino di primo grado che può essere dispensato da tutti in direzione del giocatore che ha fatto perdere la partita. Essa tende a rendere palese il proprio pensiero riguardo le qualità e le giocate non proprio cristalline di un partecipante. Questo titolo poco onorifico, si differenzia da quelli che seguono in quanto pur avendo decorrenza ed efficacia immediata, si cancella durante la partita seguente.
Canèla: insulto di penultima categoria, riservato al giocatore che si è macchiato di grave colpa o errore. Esso di solito, viene conferito nientemeno che dal presidente e ha efficacia immediata. Può essere cancellato solo da una serie positiva che lo riguarda e che restituisce appieno il maltolto. Il titolo di canèla può decadere in caso di amnistia o per decisione del gran consiglio, quando votato all’unanimità.
Gandolfo: è l’insulto supremo che il presidente decide in casi di colpa grave e non solo presunta, che ha arrecato danno alla causa presidenziale. Come il precedente anche questo appellativo ha efficacia e decorrenza immediata e non può essere revocato. Neppure ricorrendo alla Sacra Rota. Con il tempo, perde un po’ della sua carica, ma non appena si ricade in qualche errore, ritorna a galla in tutta la sua potenza. Si tratta in breve di una specie di gogna indolore, anche se ne conserva tutte le caratteristiche.
Edhleschulden Cagnulà! È diventato l’inno del nostro amato gioco e naturalmente una canzone dedicata al due, non poteva prescindere dal campionissimo. Si può definire un tributo ed un’onorificenza che tutta la società ha voluto dedicare all’indiscusso numero uno del Due. Il periodo migliore, in cui l’inno viene cantato è durante le festività, ma non si disdegna di recitarlo ogni qualvolta il già citato asso del gioco ci regala una delle giocate che lo hanno reso unico e (grazie al cielo) irripetibile.
Souch in pé. Definizione poco nobile, che rende palese la condizione di sofferenza del socio, trovato in possesso solo della briscola chiamata. In passato, (in tempi decisamente migliori) tale briscola veniva definita “pelata”, poi con il tempo, per non arrecare offesa a qualche partecipante al gioco, dalla chioma non più particolarmente fluente, si è preferito mutare l’affermazione.
Saltic adoss (nome del giocatore) Saltic Adoss! Slogan che suggerisce al giocatore, il cui nome è inserito nello stesso, di mangiare la briscola e di prendere. È l’occasione per chi deve giocare e che viene osannato, di sentire tutto l’affetto (interessato) dei suoi compagni di avventura e per sentirsi importante.
Caga o lascia libero il buco. Suggerimento non particolarmente fine che si decide di dare al giocatore troppo indeciso. Nella frase poco carina si esorta lo stesso a sbrigarsi a prendere una decisione: calare il carico (o la briscola) e di lasciare ad altri l’incombenza di risolvere la giocata.
Palturell. definizione equivalente a quella ufficiale “cappotto” che identifica una vittoria senza perdere un singolo punto.
Sta in cestina. Frase equivalente alla più nobile tira i remi in barca. Essa indica durante la fase di chiamata la volontà di rimanersene fuori dalla bagarre e di solito è accompagnata da carte del cavolo. Durante il gioco, è un consiglio che può essere utile al socio non particolarmente ricco, per cercare di mimetizzarsi e di portare in porto una partita disperata.
Sta quatà. Altro modo per dire stai in cestina.
Braccine: frase con la quale Seneca amava apostrofare chi si limitava chiamare senza esporsi più di tanto e rischiare di perdere le partite. Ancora oggi, viene utilizzata per definire il giocatore pavido che si ferma sempre al due a sessantasette.
Tela che inda lè la Carmen Russo: nulla ache vedere con le giunoniche forme dell’attrice, la frase indica con certezza (si dice quando è scesa la briscola chiamata) l’identità del socio.
Carta in sui ball, partida persa: frase scaramantica che indica nella caduta di una carta ad un giocatore, cattivi presagi. Non ha particolare fondamento, ciò nonostante persevera ed aleggia come un condor pasa sulle teste dei giocatori.
La dona la va muntada cunt ul re: una delle giocate tipiche del due, nella quale il giocatore che ha giocato una donna di strozzo o di briscola, se la vede sormontare dal re dello stesso seme. L’enfasi, parrebbe accompagnare tale operazione come se fosse una normale copula che il regnante si assicurerebbe in virtù del suo potere, anche se rimane una giocata spesso fine a se stessa.
Ciapa e turna. Espressione utilizzata da un giocatore, molto probabilmente il socio, che dopo avere preso una mano di briscola, si appresta fare altrettanto con una nuova briscola. È una giocata importata dal tresette, dove ha maggiore utilizzo.
Qui si fa l’Italia o si muore. Frase storica, coniata da Garibaldi ai tempi della spedizione dei mille, che di tanto in tanto viene presa in prestito dagli avversari del comandante. Essa indica un ordine implicito di darsi da fare per il tentativo di golpe e di vittoria della partita.
A l’è le a curà i biciclett. Osservazione che riguarda un giocatore dal quale si aspettava molto, e che invece, non disponendo di briscole è costretto ad adeguarsi ed a lasciare prendere qualcun altro. Molto probabilmente il socio. È un attestato di disistima, che tende a rendere esplicito a tutti quale sarebbe l’unica attività che, questo individuo potrebbe aprire e portare avanti.
A l’è minga le a curà i biciclett. Attestato di stima (che può precedere quello soprastante) nel quale un giocatore, molto spesso il comandante ripone fiducia nel proprio compagno. Esso si divide in due fasce: quello di speranza, destinato al giocatore che non ha ancora giocato; e quello di sollievo che invece va a carico di chi ha già (brillantemente) giocato. In quest’ultimo caso, deve essere considerato come un valore al merito.
Cioc e minga bon, cart a munton. Frase che tende a mettere in risalto la pochezza delle proprie carte e che invece, descrive la fortuna di qualcun altro. In essa, chi la pronuncia, rende esplicito tutto il suo rammarico ed un po’ d’invidia per chi, ha più fortuna e spesso e volentieri si trova con carte molto belle.
Quant l’acqua la tuca ul cü, o bef o negà. Lo dice la frase stessa, quando l’acqua arriva alle terga, ci sono due alternative: bere o annegare. È un colorito “o la va o la spacca” nel quale il giocatore arrischia una giocata (o una chiamata) sperando nella fortuna cieca (ed un po’ troia) si tratta di una frase di valenza storica che mette in luce il vero spirito con cui ci si deve avvicinare alla briscola a chiamata.
A tucava minga te: rimprovero verso il compagno di squadra che ha messo una briscola al momento sbagliato ed ha reso complicata l’esistenza ai propri alleati. Questa giocata di solito è vista di buon occhio dal comandante a cui l’errore buon pro ha fatto.
Mai rischiare su uno: nel caso ci sia da mangiare la briscolina del socio, il penultimo si trova sempre di fronte al dilemma: mangio o carico e lascio mangiare lui? La regola non scritta dice di non rischiare mai su di uno. ( a meno che non gli si abbiano viste le carte.)
Rischia su di uno. Occasione diametralmente opposta alla precedente, quando si ha l’occasione di cercare di fare propria la mano e si rischia una briscolina piccola, solo perché dietro manca solo un giocatore. Normalmente il socio, con una giocata rischiosa di questa specie può portare a vincere la partita con tanto di cappotto. Molto spesso invece, si rischia di compromettere una partita già vinta. Ma si sa, “audaces fortuna juvat.”
A l’era capott: frase tipica recitata un po’ da tutti a fine partita, su come sarebbe stata quest’ultima chiamando le carte del vicino. Con il senno di poi, e soprattutto a carte soperte si sarebbe vinta qualsiasi partita e soprattutto si chiuderebbero il novanta per cento dei casi con un cappotto.
Sacrament d’un asnin cunt i urecc biacà giò: biblica frase tipica del locale “da Giulio” ove si sono giocate alcune tra le più importanti partite della storie della federazione. Essa è da attribuire allo stesso Giulio Seduto, mitologico proprietario del locale e gran cultore del gioco. Questa frase è rimasta aleggiante sopra le teste di alcuni di noi, come un monito perenne e la consapevolezza che il tempo andato non ci sarà mai più.

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