La pesante Ford grigia si accostò al marciapiede sfiorandolo lievemente con la ruota anteriore destra. Marco, prima di spegnere il motore aprì la portiera per valutare il corretto posizionamento del mezzo, poi, richiuse e finalmente tolse le chiavi dal cruscotto.
Si fissò per un lungo momento nello specchietto retrovisore. C’era qualche piccola ruga sotto gli occhi, accentuata forse da una notte con poco sonno, ma il suo sguardo era quello di sempre. Quaranta anni c’erano tutti, ma la sua espressione era esattamente la stessa che aveva venti anni prima.
La sua attenzione si rivolse allora all’orologio digitale, che segnalava le 19,30: era ancora una volta, arrivato in anticipo. Era come un vizio per lui, quello di presentarsi ad un appuntamento con largo anticipo. Una mania, cui non si era mai sottratto e che non riusciva proprio a vincere. La madre lo aveva ammonito a riguardo, scherzandoci sopra molti anni prima:
«Vai sempre troppo presto! Se continui così, finirai per arrivare prima anche all’appuntamento con la morte.»
Non aveva mai creduto alla macabra profezia della mamma, ed aveva sempre seguitato a cedere alla sua abitudine senza mai curarsene.
Cercò dentro il cassetto portaguanti il proprio cellulare e senza esitare se lo depose nella tasca del cappotto; si guardò intorno brevemente e scese dal veicolo. Fuori era già calata la sera ed al buio si era associata anche una leggera gelida brezza. Marco chiuse a chiave la macchina e si avviò lungo il marciapiede. Camminava con il passo indolente di chi certo di essere in anticipo era conscio che avrebbe dovuto aspettare a lungo.
Si aggiustò il bavero del cappotto, per proteggersi un poco dal freddo che stava cominciando a diventare un po’ più pungente ed accelerò un poco il passo. Raggiunse in breve tempo un bar, sulla cui vetrina di vetro martellato era esposta la scritta:
“DA GIORGIO, LA MIGLIOR BIRRA IN CITTA’”
Marco guardò per un lungo attimo all’interno, cercando di scorgere qualcosa attraverso il vetro opaco, poi salì il gradino che lo separava dalla porta ed entrò. A quell’ora, non c’era certo il pienone che avrebbe riempito il locale, di lì a qualche ora, così ebbe la possibilità di scegliersi con cura il tavolino cui andare a sedersi. Si accomodò ad un tavolo laterale un po’ defilato, dal quale però, poteva tenere d’occhio l’ingresso. Appoggiò il cappotto allo schienale di una sedia e si sistemò su quella a fianco.
Dietro il banco, il proprietario, vestito di un grembiule piuttosto sudicio, stava asciugando i bicchieri ed aveva seguito con lo sguardo l’ingresso di Marco.
Poco lontano una coppia di giovani ragazzi stava discutendo animatamente, con davanti un boccale di birra quasi terminato ed una tazza di te in pratica intatta. La ragazza in particolare sembrava essere piuttosto seccata da quello che il compagno le stava dicendo. A volte si bloccava e pareva sul punto di alzarsi e di andarsene via, poi riprendeva a parlare e lasciava intendere che difficilmente lo avrebbe fatto. Più in fondo, in un’altra saletta due uomini stavano giocando a bigliardo, seminascosti dalle volute del fumo delle loro sigarette, riconoscibili più che altro dalle imprecazioni per un tiro sbagliato, o per un colpo particolarmente fortunato dell’avversario. Un vecchio Juke box dall’aria un poco malconcia, completava l’arredamento del bar; un ambiente sicuramente retrò, che a dispetto dello stile sicuramente sciatto era divenuto uno dei posti più frequentati della città.
Giorgio, il proprietario del locale si avvicinò al tavolo con una lista ricoperta di similpelle nera. Fece il gesto di consegnarla ad Marco, che invece precedendolo ordinò una Sprite con limone.
«Amico, hai la faccia di uno che mi avrebbe chiesto un whisky.» Esordì l’uomo annotando con una matita l’ordinazione su un minuscolo e sciupato block notes.
«Non ancora!» Gli sorrise Marco, aggiungendo «è un po’ troppo presto per cominciare a bere.»
Il barman chiese se voleva qualcosa da mangiare, poi un poco deluso si allontanò in direzione del banco.
Marco diede una rapida occhiata al suo orologio e si accorse che mancava ancora un quarto d’ora, all’arrivo di lei. Prese il telefonino e lo osservò, sperando forse di trovarvi un messaggio. Qualcosa comunque che lo avrebbe aiutato ad impiegare il tempo che gli rimaneva da aspettare. Non c’era però nulla. E non avrebbe potuto esserci, in quanto non aveva udito alcun suono dal momento che se lo era messo in tasca. Ripose il cellulare e si accomodò meglio sulla sedia.
La ragazza del tavolino accanto aveva appena alzato la voce:
«Ti ho detto di no! Lo vuoi capire una volta per tutte.»
Aveva un aspetto triste e sembrava impegnata in una lotta impari per riuscire a trattenere quelle lacrime che le stavano gonfiando gli occhi, pronte a tracimare da un momento all’altro.
Lei, incrociò per un breve attimo i dolcissimi occhi con quelli di Marco che istintivamente aveva sollevato la testa, attirato dalle frasi della giovane. Aveva un aspetto triste e deluso, che destò in lui un poco di pena. Poi, lei distolse lo sguardo e senza più dire una sola parola chinò il capo sopra la tazza. Sicuramente aveva perso la sua personale battaglia contro il pianto e probabilmente qualche lacrima si aggiunse al latte di quel te, che nessuno avrebbe più bevuto. Poco dopo, infatti, si alzò raccogliendo borsetta e cappotto si allontanò dal tavolo.
Sicuramente stava ancora piangendo, mentre si stringeva il cappotto e si preparava a lasciare il bar. Marco ebbe per una frazione di secondo l’impulso di alzarsi e di fermarla, mentre il ragazzo che era seduto con lei sembrava preoccuparsi solo della birra da finire. Rimasero tutti e due a vederla uscire sbattendo la porta, senza fare nulla.
Marco rimase a fissare la porta di vetro martellato. Gli dispiaceva quello che aveva appena visto, anche se non avrebbe avuto alcuna ragione per farlo. Non conosceva la ragazza, e sarebbe forse potuto esserne il padre, ma si era lo stesso intenerito nel vederla soffrire.
L’arrivo dell’ordinazione lo distolse dai suoi pensieri.
Giorgio appoggiò il bicchiere sulla tavola e si allontanò ignorando il grazie del cliente.
L’attenzione di Marco si concentrò allora su di un piccolo semino di limone all’interno della bevanda. Questo appoggiato sul fondo si stava riempiendo di minuscole bollicine, e piano piano cominciava a salire fino alla superficie. Una volta giunto a contatto con l’aria, lo scoppio delle microbolle lo fece precipitare giù. La stesa scena si ripropose davanti all’uomo più volte, con cadenza regolare.
Il barista lo guardò mentre fissava il bicchiere senza capire che cosa ci fosse di così interessante da vedere, ed alzò lo sguardo al cielo. Probabilmente malediceva la sorte che gli aveva mandato un cliente così strano e così poco propenso a spendere. Uno che magari, sarebbe rimasto ore a rimirare la sua bevanda anziché consumarla ed ordinarne un’altra.
Marco invece, sembrava essere affascinato dal lento fenomeno che gli si stava presentando davanti agli occhi.
Fu distratto solo un attimo dal ragazzo, che dopo avere appoggiato rumorosamente il boccale di birra ormai svuotato sul tavolo, si era alzato e diretto verso il banco. Aveva parlottato velocemente con il barman ed aveva pagato. Marco si disinteressò di lui e riprese a guardare il semino. Quello che stava vedendo, gli ricordava tantissimo la sua vita: i momenti felici in cui invisibili bolle lo avevano sollevato fino al cielo, e quelli tristi in cui si era sentito sprofondare fino ad avere il sedere per terra. Associava l’ascesa del piccolo semino al momento in cui aveva conosciuto la sua ex moglie, al corteggiamento ed al bel periodo che aveva condiviso con lei. Quando era abbastanza un sorriso per sentirsi in paradiso, quando era sicuro di avere tra le mani le chiavi segrete del mondo. Ripensò a quando si era sposato con tutti gli amici, il papà che ora non c’era più e che gli aveva lasciato un vuoto incolmabile. Poi, a quelli più tristi, come rientrare a casa dopo un incidente stradale, e trovare lei a letto con un altro uomo. Quando le chiavi segrete del mondo erano diventate buone solo per aprire le porte dell’inferno. Senza neppure poter puntare sul conforto di qualcuno che aveva sempre considerato amico, e che invece non aveva esitato a fare l’amore con sua moglie.
Ripensò a quando la sua ditta lo aveva premiato come miglior dipendente dell’anno, regalandogli diplomi medagliette e qualche soldo per il successo ottenuto sul lavoro. Poi, con l’arrivo di un periodo di recessione, lo avevano messo prima da parte e poi accompagnato alla porta con un finto discorso di circostanza.
«Lei è un dipendente molto valido. È con la morte nel cuore che siamo costretti a fare a meno di lei. Se dovesse avere bisogno, non esiti a chiamarci…» gli avevano detto spalancando la porta che lo avrebbe portato in mezzo ad una strada.
Quante volte aveva dovuto sopportare quegli alti e bassi della vita. Riusciva solo a ricordare solo quelli più evidenti, quelli in cui a volte sembrava venire meno la volontà di continuare e l’idea di lasciarsi andare era di sicuro la via più facile da seguire.
Il suo amor proprio, gli aveva sempre imposto di non arrendersi e di cercare anche di fronte alle difficoltà più enormi, la forza di reagire e di riemergere. E Marco, tutto sommato, non aveva mai smesso di volersi abbastanza bene. Abbastanza da riuscire a non sprofondare ancora più in basso.
Le 19,55! Ormai era solo questione di minuti. Solo cinque volte il giro della lancetta lunga e finalmente la avrebbe conosciuta. Lei, la donna che gli aveva in parte riportato il sorriso, che era riuscita a fargli ritornare la voglia di vivere e di ridere, che gli aveva fatto credere che sarebbe stato ancora possibile... possibile qualcosa, che non riusciva neppure a confessare a se stesso.
Era successo tutto qualche settimana prima. In un momento di particolare depressione e solitudine, uno di quelli che si era convinto di essersi lasciato alle spalle per sempre dopo aver assaporato a pieni polmoni il soave profumo della felicità e poi, esattamente come il semino di limone senza alcuna bolla pronta a sorreggerlo era precipitato giù. E questa volta in un modo brusco, che non avrebbe lasciato molte possibilità di risalita.
Poi, lentamente Marco se ne era fatta una ragione, era stata dura ma alla fine se ne era fatta una ragione e senza mai perdere di vista quel briciolo di ottimismo necessario per permettergli di riprendersi. Era stato allora che cedendo alle insistenze di un suo collega aveva provato ad iscriversi ad una chat line. Non era certo convinto che quella potesse essere la via giusta, per conoscere una donna. Anzi, non era neppure sicuro di desiderare davvero trovarne una. Era stato ferito, ed in qualche modo temeva che la cosa potesse ripetersi. La solitudine però, aiutata dalla curiosità lo avevano aiutato a vincere ogni remora e ad iscriversi.
Aveva preso la chat come un gioco. Un modo semplice e rapido per mettersi in contatto con donne sconosciute, e per comunicare con loro magari sfogando con loro le proprie frustrazioni. Molto spesso diventando l’amico sconosciuto o il confidente dei loro problemi, delle loro storie andate a male. Forse, in un angolo remoto della sua mente, si era convinto che sarebbe stato possibile tramite quel mezzo così inusuale, che sentiva così poco suo, riuscire a conoscere una persona speciale. Quella che gli avrebbe di nuovo, faticava persino a confessarlo a se stesso, fatto perdere la testa. Lo sperava, anche se dentro di se si sentiva sicuro che non sarebbe mai più successo.
Certo non si svegliava più di notte, in un letto freddo e troppo grande, dove neppure con una decina di coperte avrebbe trovato un po' di tepore. Si era abituato ad un silenzio nella casa così diverso da quello solito che lo aveva accompagnato per tantissime notti. Un silenzio, in cui doveva fare a meno del ritmico respiro di lei, sdraiata al suo fianco. Con il tempo si era anche abituato all’idea, che chiudendo la porta la sera non avrebbe lasciato nessuno fuori. Ma da questo a sentirsi pronto per ricominciare, ne passava.
Gli restava il nuovo gioco. Poi, si convinse che forse non sarebbe stato poi così folle affidarsi a quello, e lasciarsi guidare da quello per andare avanti.
Aveva conosciuto virtualmente lei, un po’ per caso. Lo aveva affascinato il messaggio che la donna aveva associato al proprio profilo, perché rispecchiava ameno in parte lo stato d’animo in cui si sentiva.
“Sono una foglia aggrappata ad un ramo in attesa di una refola di vento mi aiuti a staccarmi ed a lasciarsi andare. A lasciarsi trasportare verso nuovi orizzonti.”
Per Marco, che ultimamente aveva avuto come unico orizzonte, la punta del proprio naso era stato confortante trovare la risposta della donna tra i messaggi della chat. Ancora più gratificante, vedere che lei continuava a scrivergli e voleva sapere sempre più da lui: la condizione essenziale per potersi conoscere.
I brevi messaggi iniziali, ricchi di convenevoli, avevano lasciato presto il posto a domande un po’ più mirate. Poi, finalmente la decisione di rompere gli indugi e di conoscersi di persona.
Entrambi avevano accettato il reciproco invito senza alcun indugio. Si erano premurati di studiarsi nell’animo, senza badare a perdere tempo per focalizzarsi sull’aspetto fisico. Marco, non le aveva neppure proposto uno scambio di fotografie. Non gli interessava l’aspetto fisico di lei, anzi era sicuro che lei gli sarebbe piaciuta.
Erano le venti e due minuti.
Diede ancora una rapida occhiata al bicchiere, dove il semino di limone ormai era rimasto sul fondo abbandonato del tutto dalle bollicine che ormai si erano disperse nell’ambiente, sgasando la bevanda. Se lo portò alla bocca e, con buona pace di Giorgio finalmente iniziò a bere.
Dietro la porta di vetro martellato, comparve una sagoma scura. Una donna, dopo qualche esitazione aveva afferrato la maniglia e stava aprendo.
Marco non aveva il minimo dubbio: Lei era arrivata e stava per raggiungerlo…
mercoledì 10 marzo 2010
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