mercoledì 10 marzo 2010

il mio silenzio

Dalla finestra socchiusa entravano leggere folate di vento che gonfiavano le tende di mussola bianca. Con la brezza tiepida mi sembrava di percepire profumi di primavera: teneri annunci di nuova vita, e di dolce rinascita.
Io, invece, mi sentivo morire.

Il silenzio che si era creato in camera, mi metteva a disagio.
Avevo sempre apprezzato il silenzio. Mi piaceva quando la notte dopo essermi svegliato rimanevo sdraiato sul fianco a guardarla; a seguire con gli occhi le armoniose forme del suo corpo ed a sentirla respirare, con il rumore sommesso del fiume a fare da sottofondo.
Adesso che lei se n’è andata, nulla sarebbe più stato come prima. Adesso, quel silenzio, fatto di tante piccole voci, che la casa suo malgrado si lascia sfuggire, come il ticchettio dell’orologio a pendolo, il brontolare del motore del frigorifero o gli scricchiolii delle pareti di legno, mi suona così estraneo.
È strano come a volte, anche il silenzio può essere popolato di suoni che lo fanno diventare opprimente e che lo rendono troppo simile al presagio di una minaccia incombente.
Il vuoto ereditato senza Elena, non è solo quello che ha lasciato nella parte destra di un letto matrimoniale decisamente troppo grande solo per me. È soprattutto il rumore del suo dolce respiro di notte, quello che riusciva a coprire tutti gli altri rumori ed a cancellare ogni mia ansia.
Rivolevo quel silenzio. Rivolevo il mio silenzio.
Elena se ne é andata. Mi ha lasciato dopo tanti anni d’amore e di convivenza per fuggire con un altro. Di tutto quello che c’è stato tra noi, non rimane che un piccolo biglietto, due righe scarne lasciate sullo scrittoio:
“Tra noi è finita. Mi dispiace tanto, ma ora c’è un altro nella mia vita.
Per questo ti lascio e corro a raggiungerlo…”

Mi sono alzato ancora. Non posso certo riuscire a dormire in queste condizioni. Ho ripreso tra le mani quel maledetto foglietto e provo a rileggerlo. Due righe. Due sole righe, non bastano a cancellare un amore che durava da anni. Penso di meritarmi qualche cosa più di questo. Sì, di sicuro merito qualcosa di più.
Per questo prendo la sua stilografica, e riprendo a scrivere:
“Ti ho amato tanto. Non cercare più di me.”

Penso che così è più giusto. Si credo proprio che così vada un po’ meglio.
Appoggio la penna allo scrittoio e mi commuovo. Due lacrimoni mi riempiono gli occhi e quasi m’impediscono di vedere, ma ritrovo la stilo e senza esitare firmo.
“Tua Elena.”

Spengo la luce e mi dirigo alla finestra. Il profumo della primavera è già qui, ma non sono certo dell’umore giusto per godermelo. Allora sposto le tende e lo spettacolo familiare del fiume mi si presenta davanti. La luna è ancora alta ed illumina la barca vicino al pontile. La fisso e rivedo mentalmente lei che esce dall’acqua con addosso solo il suo costume bianco. La rivedo con la pelle d’oca e con i due capezzoli turgidi per il freddo. La desidero: esattamente nello stesso, modo in cui la desiderai la scorsa estate. Solo che, allora fu possibile abbracciarla e portarla sul divano dove facemmo l’amore.
«Perché mi hai lasciato? Perché… te ne sei andata?»
Il mio urlo disperato nella notte sortisce il solo effetto di paventare due ignari uccelli appollaiati sulla grondaia della mia casa.
«Perché?» Mormoro sottovoce, lasciandomi cadere seduto per terra vicino alla finestra.
La luce della luna ora filtra nella stanza e mette in risalto la figura di Elena seduta sulla poltrona vicino al letto. La guardo disperato, aspettandomi forse una risposta da lei.
È bella! Lei, anche con lo sguardo stravolto dal dolore e con i lineamenti modificati in una maschera di terrore, riesce ad essere bella. Non può rispondermi: quella sciarpa rossa legata stretta intorno al collo, non le permette di farlo. La stessa sciarpa che quella sera le ho stretto forte, le impedisce di respirare.
Quella stessa sciarpa che, mi ha portato via oltre a lei anche il mio silenzio.

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